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Recensione Selma Lagerlöf L'esiliato
Alla fine della tremenda I Guerra mondiale, nel 1918, Selma Lagerlöf scrisse “L’esiliato (Bannlyst)” (1918), tradotto in Italia nel 1932. Questo interessante romanzo dall’evidente messaggio pacifista narra di Sven Elversson, sospettato di aver mangiato - insieme agli altri esploratori di una spedizione sperdutasi nell’Artico - carne umana (quella di un compagno suicida). Sven è un uomo buono e giusto ma gli abitanti del suo paese non gli perdonano quest’abominevole «antico peccato dell’umanità», e lo caricano di disprezzo e disgusto («Traboccano di fede e di senso di giustizia, tanto che in loro non c’è posto per una goccia di pietà»). Egli stesso, escluso e ripudiato dai suoi simili, si odia forse più degli altri («aveva peccato contro la santità della morte») e spera inutilmente di recuperare con le sue buone azioni parte dell’onore e del rispetto perduti. Scoppia poi la guerra («la Grande Bestia»), e il mare restituisce a migliaia e a migliaia i cadaveri galleggianti («La superficie del mare ne era ricoperta... si poté notare un cumulo di cadaveri confusi colle reti e coi pesci»). Il popolo finalmente capisce come «la santità della vita» sia il bene più importante e quanto più irreparabile sia il male fatto ai vivi e quanto più inviolabile la vita della morte: perdona allora Sven, che muore per l’emozione nell’apprendere di essere innocente (incosciente per la febbre, era stato accusato e coinvolto ingiustamente dai compagni).
Di Silvia Iannello
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