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Recensione Ivica Djikic Un autore croato oggi appena trentenne ma di una maturita' che puo' crearci tremori ai polsi, Ivica Djikic. Perche'? In due parole: per lo spaccato - a meta' strada fra un Bulgakov meno variopinto ed un Pasolini romanziere piu' alato - che ci da' della guerra di Bosnia del 1992-93, e per l'incredibile coincidere della vita di provincia in un paesone bosniaco-croato con quella delle nostre cittadine italiane degli anni Settanta o giu' di li'; e per la tendenza all'autodistruzione della gioventu' di quel posto, condotta insieme ai compaesani di ogni sesso o generazione, tutti completamente persi (tranne eccezioni) nell'esplodere di un nazionalismo croato mai visto dal '45 ad oggi. Carne, sangue, paura e follia, amori (gli unici puri anche se tragici, con donne che somigliano alla Magnani, alla Mangano, alla Loren piu' ''popolana'') e delitti, senso dell'inutilita'. Questo il risultato dello sconquasso, della vertigine omicida ed insensata che, appunto negli anni Novanta, avvolge come una tempesta omerica, come una piaga biblica, il destino delle piu' giovani leve di quell'area per sancire la fine del socialismo e l'epifania di una rancida e rancorosa ''solitudine collettiva''. Bella scoperta, per me, Djikic. Avvincente la storia a piu' voci (ma specialmente due sono i protagonisti-voci narranti) e credibili i personaggi e le loro tragicomiche vicissitudini in un Paese belligerante che il romanzo ben rende nella sua (cacofonica) coralita'. Un grazie all'editore trentino Zandonai per la scelta. Coraggiosa quanto l'autore, il cui sarcasmo e' al vetriolo. Sergio Sozi Di Sergio Sozi
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