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Recensione Giorgio Michelangeli Il mozzo Nestor Lorca si innamora della bella Blanche, Jack Cinqueassi scommette sulla propria vita in un western d'altri tempi, il maestro Shalai vive in meditazione nell'isolata Shanbala, mentre Dolseur rappresenta il capolinea, la fine del viaggio. Dolseur e altri racconti è il libro d'esordio del giovane Giorgio Michelangeli. Personaggi fantasiosi si muovono inquieti per scenari immaginari, animi vagabondi alla ricerca di amore, vendetta, riscatto. Scheda di lettura “Mi chiamo Nestor Lorca e quello che ho fatto è inenarrabile”. Così, dopo tre frasi fortemente cadenzate, si apre il primo dei quattro racconti firmati da Giorgio Michelangeli. Un incipit nel quale l'autore riesce a concentrare i due elementi portanti del racconto: il mare, richiamato attraverso il suo ritmo, e una storia di violenza che si dipanerà lentamente. Scrittore giovanissimo – ventidue anni – Michelangeli dimostra in questa opera d’esordio una naturale capacità di creare atmosfere e ambientazioni attraverso pochissimi tratti. Un linguaggio decisamente evocativo dà consistenza a una caratterizzazione ancora fortemente postmoderna, ma con delle innovazioni che germogliano da dentro. Si nota una libera trattazione delle categorie spazio-temporali, l’inserimento di elementi incongrui rispetto al contesto, ma ben amalgamati da una scrittura che, nonostante la sua acerbità, e l’indulgere in qualche ingenuità, rimane incessantemente altalenante tra adesione e distacco rispetto alla materia narrativa. Il risultato è un effetto straniante che permane in tutta la narrazione e che determina il fil rouge dei quattro racconti, altrimenti molto lontani per tematiche e paesaggio. L’inserimento di parti poetiche, l’uso del narratore interno evidenziato dal corsivo, dissociato dall’io narrante, come fosse una voce fuori campo, rimandano da una parte a Baricco, in particolare a quello di Oceano Mare, ma al tempo stesso lo reinterpretano ampliando la riflessione metanarrativa e arrivando ad attingere al mondo cinematografico e alla filosofia zen. Prendiamo Sabbia e vento, il racconto più lungo: in un’ambientazione tipica del film western si avverte qualcosa di dissonante che incuriosisce il lettore e lo spinge a non lasciare la pagina. Come in Dead Man di Jarmush, un’atmosfera di fondo rimanda a un genere definito, a un’ambientazione precisa, ma al tempo stesso la contraddice, sfumando nel surreale. Michelangeli ci riporta subito attraverso i pochi versi iniziali al luogo dell’azione, specie nel momento in cui scrive “in un perpetuo moto di sabbia e vento”. Come non pensare a quei “campi lunghi” sullo spazio sconfinato in cui il vento soffia basso e crea palle di polvere e cespugli secchi? Subito dopo l’inquadratura si restringe fino a entrare dentro una locanda sul fiume dove si gioca a carte e si beve whisky. Altro topos della tradizione di genere. Compaiono i primi personaggi, i loro nomi non lasciano spazio all’immaginazione e rafforzano la convinzione di essere dentro un film di Sergio Leone. Ma già nella terza pagina appare un’orchestra nera che suona jazz, è il primo vero spiazzamento. I toni drammatici e assoluti dei personaggi fanno il resto. Un libro da gustare lentamente, andando alla ricerca di riferimenti e reinterpretazioni in un gioco di rimandi cinematografici, letterari e d’attualità. Di stampa
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