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Recensione Long Evening Shadows (Lunghe ombre della sera) è una raccolta di 16 liriche scritte dal grande poeta britannico dal 21 febbraio al 21 luglio 2001. E’ un titolo che ha un valore metaforico, perché l’approssimarsi della sera è inteso come il progressivo decadimento fisico della vecchiaia, ed è anche profetico, considerato che l’autore, in precarie condizioni di salute e quasi cieco, morirà nel 2003. Accanto a versi dedicati ai temi propri della malattia risaltano, di fulgida luce, quelli propri della splendida bellezza della vita e del mondo. Questo dualismo, fra il sentore di essere prossimi alla fine dell’esistenza e il compiacimento per quanto di meraviglioso offre la natura, mi hanno richiamato subito l’immagine di una grande figura della storia, quella dell’imperatore romano Publio Valerio Traiano Adriano. Anche là, immortalato nelle celebri pagine della Yourcenar, c’è un uomo conscio dell’imminente fine e che tuttavia si estasia ancora alle bellezze di un mondo che è prossimo a lasciare. Direi che c’è anche una corrispondenza nel concetto di spiritualità, quasi a dimostrare che l’essenza dell’essere umano è rimasta inalterata nel tempo. Là è sintetizzata nell’emozionante Animula Blandula Vagula, qua invece in Dunque, che succede? Diversa è la concezione religiosa, con un Russell cristiano, ma con una visione tutta sua di carattere filosofico più che teologico, che finisce con l’accostarlo inevitabilmente ad Adriano: il Paradiso esiste, ma non è dove viene canonicamente situato; è invece uno stato particolare della mente, il massimo dell’estasi. Ebbene questa sorta di trascendenza, che separa lo spirito dal corpo, non è propria del momento della morte, ma può avvenire anche in vita e questo grazie alla poesia. Il mistero della musica Il mistero della musica, il mistero della poesia, La capacità di riconoscerla, nota solo al saggio. E’ un dono, come Col denaro, la cultura o l’esperienza, il potere, O le preghiere o le sante omelie, Ma spogliandosi d’ogni egoistica finzione, Una rimembranza di immortalità. …….. E’ fuor di dubbio che il Saggio è il lettore che, spogliandosi di se stesso, accoglie il seme della parola coltivato nella terra fertile dell’animo dell’autore. Scritto così può sembrar complesso, ma Peter Russell ha tremendamente ragione. Infatti quando, dimentico di me stesso e del mondo che mi circonda, leggo una lirica di notevole bellezza avverto sempre una soffusa sensazione di profondo e sereno appagamento, un vero e proprio stato di estasi. E anche nei versi di cosciente cognizione del proprio decadimento (Divento vecchio, senile insomma, e rimbambito) trovo che quel flusso dinamico di emozioni raggiunge la mia mente, con una nota malinconica che infonde comunque serenità, perché tutto è nell’ordine delle cose e basta saper cogliere il poco che ci è offerto perché la vita continui a stupirci (…Sebbene disperato (annaspo per la mia tazza) Ho tirato fuori sette sonetti, davvero ben fatti, oggi). E il dolore per la perdita della vita è inteso più come l’impossibilità di continuare a creare (…Spenta ormai la luce della fantasia…). Rimiriamo, allora, ancora una volta il bello che ci circonda, diamo spazio alla fantasia per trasmettere l’emozione di certe visioni, affinché palpitino nel cuore del lettore (Campi e campi di margherite gialle – Il fuso verde – Luce solare). Definire poesie queste composizioni sembra quasi riduttivo, perché sono musica, genialità, acute e profonde riflessioni; sono lo spirito di un uomo fatto parola. Un doveroso cenno alla traduttrice mi sembra necessario, perché il suo è un lavoro spesso oscuro, ma trasporre in un'altra lingua delle poesie implica anche una sintonia con l’autore, un immedesimarsi che non è certo facile e, considerato che l’armonia strutturale della versione originale è rimasta inalterata anche in italiano, Franca Alaimo merita un particolare plauso. Di Renzo.Montagnoli
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