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Recensione Valerio Evangelisti Non è facile scrivere best seller che diventano long seller. Valerio Evangelisti, padre letterario dell’inquisitore spagnolo Nicolas Eymerich, è uno di quelli che ci riesce. In verità Eymerich è realmente esistito (nato nel È possibile incontrare Eymerich nelle pagine de “La luce di Orione” (Mondadori), il nuovo romanzo della serie. “Valerio Evangelisti, parliamo di Eymerich. Come è nato?” Eymerich nacque con la prima versione del romanzo che si sarebbe più tardi intitolato “Cherudek”, scritta senza intento di pubblicazione, per divertimento mio e di pochi amici. Però in quel momento non aveva una personalità precisa, era poco più di un fantasma. “Un successo inatteso, dunque...” “Successo”, sì... ma il termine va precisato. E’ molto raro che i miei romanzi finiscano nelle classifiche dei libri più venduti. Piuttosto si vendono nel tempo e vengono continuamente ristampati. “Eymerich si riaffaccia dopo un periodo di “assenza”. Cos'è che caratterizza questo ritorno?” Eymerich non lo avevo mai abbandonato del tutto. A un certo punto ho avvertito l’esigenza di dedicarmi ad altro senza per questo dimenticare il personaggio a cui devo le mie “fortune”. Per me è gratificante scrivere di Eymerich o di altro, in egual misura, e dimostrare soprattutto a me stesso di essere versatile. Certo che Eymerich, in quanto parte negativa di me stesso, è il personaggio con cui passo meglio il mio tempo…
Non sono religioso, però sono abbastanza convinto dell’esistenza di un’anima universale - che qualcuno chiamerà Dio, altri inconscio collettivo, altri ancora in diverso modo - simile a quella ipotizzata da vari pensatori, a partire da Plotino per arrivare a Teilhard de Chardin (o a George Lucas: “Che “Che rapporto hai con la “vita pubblica”?” Circa la mia “vita pubblica” di scrittore, penso di essere personalmente pochissimo interessante, e che la parte migliore di me stia in ciò che scrivo, piaccia o meno. Faccio un numero limitato di presentazioni, a ogni nuova uscita, perché lo devo al mio editore, e ovviamente rispondo alle interviste, come cortesia comanda. Per il resto, il mio ideale supremo è starmene per mio conto, il più possibile tranquillo. Ecco uno dei motivi per cui, quando posso, scappo lontano. “Il tuo ideale supremo è startene per tuo conto, dici... ma è una questione di carattere o di scelta?” È soprattutto una questione di carattere. E non perché io sia un tipo poco affabile o uno snob: tutt’altro, direi. Ma c’è un altro fattore, a parte l’indole. Scrivo molto (poco al giorno, però tutti i giorni). Non potrei farlo se fossi continuamente in giro. Faccio a volte lunghi viaggi, però sono un “viaggiatore sedentario”: vado in un posto magari lontanissimo e lì mi sistemo e organizzo la mia vita. Su un piano più generale, non credo che uno scrittore debba atteggiarsi a “vedette” e alimentare, o lasciare alimentare, il culto della propria personalità. Non amo - pur senza condannare le scelte altrui - i colleghi che si prestano a questo, o che vi aspirano. Uno scrittore, incluso un semplice artigiano come me, dovrebbe, a mio avviso, essere partecipe dell’esistenza della gente comune, per poterla poi descrivere con cognizione di causa (anche quando si narrano fatti eccezionali, la base dei sentimenti, degli umori, delle passioni nasce dal contesto in cui si vive). Sei il fondatore di “Carmilla On Line” una delle più belle (e credo delle più longeve) riviste letterario-culturali del web. Come nasce Carmilla? Da quali esigenze? E con quali aspettative? E queste aspettative sono poi state soddisfatte? “Carmilla”, che si ispira al racconto di Sheridan LeFanu (a mio avviso la più bella storia di vampiri mai scritta), nasce come rivista cartacea. Ne escono quattro numeri in forma di fanzine, altri cinque con editore regolare (ogni volta, ahimé, diverso). Il problema è stato la distribuzione. Vendevamo quasi tutte le copie distribuite, ma queste erano pochissime! L’assunto, dietro Carmilla, derivava da Manchette. Il ‘68 è finito male, vediamo se possiamo portarlo avanti comunicando in altra maniera. Rivalutiamo la narrativa di genere, e le sue potenzialità critiche. Carmilla cartacea è morta, però resta Carmilla On Line, che in effetti ha tantissimi lettori. Vive per miracolo: i redattori (io, Giuseppe Genna, Girolamo De Michele, Wu Ming 1, ecc.) ci sentiamo molto di rado. Io sono l’ultimo ad andare a dormire, e se non vedo articoli già pubblicati, ne posto uno tra i tanti pervenuti. L’assunto resta assai radicale, la pratica si affida alle circostanze. Comunque Carmilla resiste, forse perché pretende sangue attraverso il fascino e la dolcezza. “Il '68, quest'anno, ha compiuto quarant'anni. Dici che è finito male. Perché, a tuo avviso?” Perché ha prodotto una delle classi dirigenti - al di là di singole biografie - tra le più scarse che l’Italia abbia mai conosciuto, intellettualmente e moralmente. Più positive le ricadute in altri ambiti, dal mondo del lavoro alla cultura (cinema in primo luogo). Di Massimo Maugeri
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