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Recensione Simone Weil Manifesto per la soppressione dei partiti politici
Simone Weil Manifesto per la soppressione dei partiti politici
Appare del tutto evidente la gratuita' delle prefazioni di Alain e Breton(paradossale in particolare quella dell'intellettuale francese considerando la sua adesione acritica al Pcf) al fine di una esatta compresnsione del breve saggio dell'autrice. Pubblicato nel 1950 non costituisce-a nostro avviso- ne' un contributo particolarmente significativo rispetto al percorso filosofico della Weil ne' tantomeno contribuisce ad innovare la storia delle dottrine politiche dal momento che -p.e giŕ nel contesto anarchico ottocentesco- la critica al partito in quanto tale fu ampiamente sviluppata.La brevita' da un lato e dall'altro il ridondante ricorso al lessico religioso-bene,giustizia,peccato,luce-costituiscono limiti assai evidenti del saggio,limiti che inficiano la possibilita' da parte del lettore di avere una percezione ampia delle coppie concettuali partito/totalitarismo,partito/propaganda,partito/addestramento.Un altro limite-questa volta di natura storica-lo si coglie agevolmente sia nella incapacita' dell'autrice di comprendere che proprio Rousseau getto' le basi-attraverso il concetto di volontŕ generale-del totalitarismo sia nel mancato
approfondimento della genesi storica del concetto di partito nel contesto della storia della chiesa.
L'assenza di liberta' di critica,la volontŕ livellatrice,l'acriticita' richiesta agli adepti sono caratteristiche che inequivocabilmente la Weil coglie in relazione al ruolo e al modus operandi fittizio che l'individuo deve fare propri per essere accettato nell'ambito del partito ma-lo ribadiamo-non sono specifiche psico-sociali originali rispetto alla letteratura anarchica.A tale proposito si pensi che giŕ Malatesta-come l'anarcoindividualismo statunitense d'altra parte-aveva pienamente compreso sia la mancanza di qualsiasi democrazia nelle istituzioni europee sia la sostanziale equipollenza tra totalitarismi di destra e di sinistra. A conclusione del saggio-il cui approccio e' ovviamente lontanissimo dal realismo politico-il lettore non puo' fare a meno di domandarsi quale alternativa realistica rimanga al cittadino del nostro secolo,quale concreta possibilita' di agire nella prasssi politica possa avere.Ebbene,a questi legittimi interrogativi,il lettore non potra' che trovare nel saggio un irritante-per uno spirito laico-alternativa mistica congiunta ad una intransigenza ideologica che mal si concilia con la necessita'-nella vita reale-di mediare evitando una polarizzazione cromatica radicale e alla ricerca al contrario di difficili sfumature.
GAGLIANO GIUSEPPE
Di prupitto
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