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Recensione Carla D'Alessio Una radio dà notizia della condanna di Ciavardini quale autore della strage di Bologna del 2 agosto 1980. Agata ascolta a bordo della sua Panda, poi spegne il notiziario e mette un disco di Fabrizio De André. E’ l’inizio di L’altra Agata, primo romanzo della casertana Carla D’Alessio da poco uscito per Cargo, costola narrativa di L’ancora del Mediterraneo. Un libro che si fa notare per almeno due ragioni. La prima è la maturità dello stile, dalla lirica misurata e dai dialoghi pienamente credibili. L’autrice trentenne, che ha pubblicato racconti su antologie di Cargo e di Einaudi, si è diplomata al master in narrazione di Alessandro Baricco e forse lì ha appreso come gestire il registro e i toni del suo racconto. Che infatti si svolge tra casa sua, la Campania, e la Torino dove ha sede la scuola Holden. La seconda ragione è il modo naturale e sensato con cui intreccia le storie private con quella pubblica. L’altra Agata, da cui viene il titolo, era giovane sul finire degli anni ’70; questa Agata, la protagonista, è una fragile creatura bizzarra, che vive a Napoli e si è sposata quasi per gioco. E’ il marito, davanti all’inconoscibilità e a una certa follia della donna, a far partire la classica indagine sul passato, servendosi di un detective e di un taccuino riemerso. La verità da scoprire riguarda l’uomo che ha unito queste due Agate in una parentela elettiva. Ma è solo il primo livello. Diventa sempre più chiaro che la ricerca ha a che fare con i legami emotivi di Agata, verso il padre scomparso, la madre, il marito, la propria omonima. Legami negati, rimossi, o affidati a segni non decifrabili. Mentre al terzo livello c’è la tragedia collettiva del terrorismo, di cui sono ricordati episodi come il delitto del giornalista Casalegno a Torino o, appunto, la strage della stazione a Bologna. La forza del libro è nel filo sottile, però evidente, che tiene insieme queste tre dimensioni. La D’Alessio non è la prima a parlare di terrorismo da un osservatorio privato e affettivo, ma i precedenti riguardano più il cinema: La seconda volta di Calopresti, La meglio gioventù di Giordana. Somiglianze non casuali, forse, poiché anche per stile e struttura L’altra Agata sembra ispirarsi al cinema: nel realismo delle descrizioni e dei dialoghi, nell’impiego di ellissi come trapassi tra scene. Si intuisce una cultura filmica che però non riduce la ricerca espressiva sulle parole, come si vede nella gestione dei tempi narrativi e nel tentativo riuscito di simulare scritture nella scrittura –i diari del padre, le canzoni. Ci si chiede perché questo intreccio di temi privati e pubblici interessi tanto, negli ultimi anni, chi con mezzi diversi racconta storie. E il romanzo sembra offrire un’ipotesi per dir così privativa. La giovane Agata è in apparenza circondata di affetti, con un marito e una doppia coppia di genitori biologici e putativi. Ma quasi tutti muoiono prematuramente, o sono scomparsi, e comunque sia la protagonista fatica ad abbracciare la realtà e l’intensità dei propri legami. A ben vedere è uno schema che riproduce il nostro rapporto con gli anni di piombo. Se ne parla eccome ma sembrano continuamente sfuggirci, nelle ragioni intime, o venire sepolti da dubbie verità giudiziarie. Per di più, sugli adulti che hanno cresciuto Agata e su chi ha aderito alla lotta armata adombra un sospetto analogo, di carenza, fallacia, per troppo e confuso amore. Di faust
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