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Recensione Tiziano Terzani

Tiziano Terzani

La fine è il mio inizio

Tiziano Terzani La fine è il mio inizio
Tiziano Terzani La fine è il mio inizio

Morire. Svanire nel nulla. Lasciare quanto è più caro. Abbandonare persone, oggetti, luoghi.
Non è questo che ogni individuo teme?
Ci sono uomini che ci pensano, continuamente. Che ne fanno un chiodo fisso della loro esistenza. Un monito. Il che non è per forza negativo.
Mi viene in mente Charles Bukowski, per esempio. Lui ha sempre pensato alla fine. Diceva – anzi, scriveva – che la gente non esiste. Per molti di loro, per molta di quella massa ignorante non pensante, vivere è una coincidenza. E morire non è poi tanto terribile. In fondo, non hanno mai vissuto. Esistere per loro è scontato e si imprigionano da soli in mille meccanismi inutili. Lavoro, famiglia, tradimenti, sesso, mangiare, bere, il gioco, i vizi. Ma tutto senza passione. Tutto fatto perché è scontato. Gente con lo sguardo vuoto, privo di slancio. Gente che perde il punto e si occupa di particolari senza importanza.
Vivere veramente è una delle difficoltà più temibili. In pochi possono morire e dire “la fine è il mio inizio”.
Proprio come Tiziano Terzani. Morto nel suo letto, lontano dal mondo mediatico (dopo averne fatto uso smodato, per tutta l’esistenza), serenamente e felicemente. Curioso, per quanto stava accadendo.
Già, curioso. In fondo, non è un passaggio obbligato, per tutti? Animali, piante, uomini. Nei secoli dei secoli. Ogni essere vivente compie il grande passo. E’ qualcosa di naturale. Talmente naturale da terrorizzarci. Invece Tiziano vedeva questo attraversamento felicemente.
Senza rimpianti. “Bisogna imparare a morire vivendo”. Un concetto difficile da raggiungere, almeno in modo profondo.
Lasciare, gradualmente, gli attaccamenti terreni. Anche gli affetti. Ma non nel senso di non amare più. Rendendosi semmai conto che nulla è per sempre, che ci sono cose che un uomo deve compiere da solo, perché fanno parte dell’evoluzione, della crescita. Naturalmente spirituale.
Così ritroviamo questo vecchio in una casa spoglia di tutti i ricordi che aveva accumulato per anni. Insieme ai due figli, ai nipotini e alla moglie. Che ridono del suo passaggio, pur essendo dispiaciuti.
Si può ridere, quando qualcuno svanisce nel nulla?
Certo, se ci si rende conto che noi non siamo un corpo. Come non siamo il vestito che portiamo. Un pantalone si logora. Al punto da dover essere buttato.
Così il corpo umano. L’anima non invecchia. Ma il corpo si consuma.
Noi non siamo un braccio, una mano. Noi non siamo nemmeno il cervello. Noi non siamo un involucro. Quando questa esteriorità si esaurisce, non resta che cambiare. Gettare l’Io che conosciamo per costruirne un altro.

Un presupposto fondamentale però è il non avere rimpianti. E Terzani si trova in una situazione di vantaggio. Ha viaggiato, conosciuto culture diverse, realizzato ogni suo sogno.
Ha visto la guerra del Vietnam, con la vittoria dei khmer-rossi.
E’ entrato nel mondo di Mao, in cui credeva fortemente.
Ha vissuto nel triste Giappone.
La Russia.
Ed in fine l’India, che gli ha permesso di venire in contatto con il proprio intimo.
Il passo più importante, dice, è stato sull’Himalaya, con il vecchio della montagna, a meditare. A vivere di silenzi, di conversazioni, di natura.
Questo gli ha permesso di comprendere la futilità della materialità.

Anche l’evoluzione del pensiero è stata notevole. Da una fede quasi fanciullesca verso il comunismo a una delusione e a una noia nel vedere i fatti del mondo. Mao aveva costruito l’uomo nuovo, i Vietnamiti anche. Per farlo, hanno distrutto la loro tradizione, il loro essere cinesi e vietnamiti.
Proprio come avrebbero fatto gli americani o i capitalisti in genere. La rivoluzione, dice, non serve a nulla. Anche se mossa da buoni propositi, non c’è via d’uscita. L’uomo non è in grado di vincere la voglia di omologazione.
Che detta così vuol dire poco. Il suo pensiero è talmente semplice e profondo insieme da non poter essere riassunto.

Ne “La fine è il mio inizio” Tiziano Terzani parla con suo figlio. Una lunga intervista dove viene esternata tutta la felicità di vivere.
Alla fine, osservando il suo volto ormai senza vita, si è incantati e intimoriti.
Certo, è morto. Ma, viene da pensare, forse no. Forse davvero la sua anima è in giro, da qualche parte… E quel che resta del libro è una serie di annotazioni, di riflessioni.
Ed anche un timore di essere in prima linea. Ora tocca a noi, compiere il grande passo. Prima o poi.
E bisogna esser pronti. Prepararsi. Morire vivendo.
Questo è il monito che rimane, col chiudere il volume.
Bisogna imparare a morire. Vivendo felicemente.

Di alicesu

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