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Recensione Marco Marchese Lysergic Company
Lo stato d'animo adatto per leggere questo libro esiste solo nel mondo onirico. Dopo questa frase una persona potrebbe pensare di desistere, di lasciar perdere. Ma no, fidatevi: io l'ho letto ben due volte. La prima me la sono proprio goduta. Perchè Cristina e Nicola sono due personaggi vivi, presenti, conosciuti. Quante volte mi è capitato di ascoltare le paranoie di un amico che non voleva ammettere di essere innamorato? Senza contare gli sfoghi delle mie amiche, quelle che stavano dall'altra parte, che erano innamorate di uno stronzo o, meglio, di uno che non sapeva cosa voleva. Così sono loro. Lui arriva dalla Calabria, trapiantato a Bologna per studiare. In quella Bologna magica dove esseri di ogni genere si scambiano odori, parole, cultura, canne, birra, videocassette, parole, parole, parole. E' in una di queste serate che incontra Cristina, una ragazza fuori dal comune, ed è magia. Anche se Cristina non è speciale, anche se Cristina è una ragazza normale, perchè non c'è niente di terribilmente irresistibile in una ragazza che va in vacanza da sola o che va in bicicletta o che non prende il succo di frutta al bar ma, magari, una birra. Come l'uomo. Ma il protagonista è intriso fino all'osso di preconcetti sul il mondo femminile: lui non si sarebbe mai innamorato, lui impegnato, mai. Quando quella parola, “impegno”, si respira nell'aria, scappa. Come è logico che faccia. E' quasi risentito quando lei gli scrive, senza rabbia o risentimento, ma con una velata (anche se non troppo) tristezza. Così, riparte, da Catanzaro a Bologna in macchina. Ore ed ore di viaggio, di avventure, di droga, di uscite, di parole, di nulla. Lieto fine? Forse, ma non è bello anticipare.
Sì, questa è stata la mia prima lettura. Proprio carino. Ho chiuso il libro pensando al solito romanzetto giovanile di formazione, dove il protagonista da cattivo diventa buono, con tutti i clichè del caso. Poi ho preso un bicchiere di vino. E un altro. Un altro ancora. La mia testa è partita per un viaggio. Un viaggio lisergico.
Perchè nel romanzo di Marchese non c'è solo questo. Questa è la visione di un lettore sbiadito, un non-lettore, oserei dire, uno di quelli che vuol passare il tempo.
Il romanzo è pieno di idee visive e sonore: leggendolo – proprio come in un libro di Coe – si ha come l'impressione di udire Jeff Buckley, gli After, i Bluvertigo perchè la musica – evidentemente compagna fedele dell'autore – non è forse qualcosa di divino, qualcosa che ci avvicina alla più completa spiritualità? Se persino gli scritti religiosi associano il suono alla magia, non è poi così azzardato affermare che, grazie alla musica, le più sorprendenti mutazioni avvengono in noi. Che è la musica, la vera maestra d'esistenza, quella che può ucciderci e farci risorgere, a suo piacimento. Il protagonista viaggia in mezzo alla folla muta, che parla con accordi di chitarre e pezzi di pianoforte, grazie alle cuffie sempre addosso. La folla muta ed il camminare divengono meditazione, riflessioni. Quest'emozione ci accompagna per gran parte delle pagine.
La sensazione più diffusa, quella che ci accompagna nel viaggio, su una macchina scassata per le autostrade – anch'esse malmesse – d'Italia è quella dello stordimento. Come un novello Alice in wonderland il protagonista vedrà la realtà deformata dal suo subconscio, come per Raoul Duke (il pazzoide del film “Paura e delirio a las vegas”) i chilometri saranno macinati e sommersi da sostanze skizoidi (magari meno elaborate) per evadere da quella realtà amara.
Il risultato sarà una crescita – provvisoria o meno non lo sapremo mai – significativa.
Insomma, il consiglio vien da sé: astenersi perditempo.
Di alicesu
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