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Recensione Ian Mcewan Espiazione
McEwan non è un autore che si ripete sempre uguale a se stesso lavoro dopo lavoro, scelta che fanno spesso anche i grandi scrittori e che si rivela rassicurante per i lettori che amano le certezze. McEwan non ci vuole rassicurare, non cerca il consenso preordinato e i canoni già conosciuti. Lasciarsi sorprendere fa parte del gioco.
Diviso in tre parti, è una discesa vorticosa della sua crudeltà. La prima parte trascina, la seconda appensatisce, ma mi sono ugualmente piaciute entrambe. La terza comincia bene, a metà s'inceppa, alla fine tracolla. E non è un bene da lieto fine. Non esistono i liti fini. Esistono i finali, anche nella vita.
Il finale è ben scritto, solito e pulito. Ma il filo conduttore della storia si è già perso per strada cinquanta pagine fa. L'espiazione di Briony, al centro della storia, emerge nella conclusione, dopo averci illusi di essere rivolta alla storia stessa. Ma McEwan mi ha sorpreso. E' vero, non vuole rassicurare. Racconta una storia, ti concede un orgasmo, ma sul più bello si blocca e riporta alla realtà, alla sterilità degli accadimenti, alla realtà di un romanzo scritto per espiazione e non di una storia raccontata per amore. Crudele, Ian, sei crudele. E il finale ti lascia l'amaro in bocca, ti resta sospesa la parola fine e per giorni, settimane, mesi, ripensando a quel libro rivedrai nella mente l'immagine di quei due, scavati dal tempo, investiti di divina bellezza, perdersi nella miseria, mentre il mondo colpevole continua a scorrere. Non c'è giustizia, nel mondo. Non c'è giustizia in questo romanzo. Solo sterile ed egoistico senso di colpa.
...e non c'è perdono per Dio come per gli scrittori.
Di Hellionor
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