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Recensione marcello scurria e la poesia di
Introduzione di Nuncia Scalzo
Sul saggio di Marcello Scurria che scrive intorno alla Poesia e le Cose dell’uomo di Tommaso Romano
Quando una persona come me riesce a leggere senza annoiarsi un saggio, vuol dire che lo scrittore è una persona speciale. E Marcello Scurria è riuscito nuovamente a centrare l’obiettivo. Premetto subito che non sono una lettrice speciale né mi intendo di aspetti stilistici e formali del costrutto delle poesie; sono semplicemente una divoratrice di libri e di giornali, una che ama leggere mille cose contemporaneamente e non riesce a stare più di un’ora su di un testo, su di un romanzo o su un libro di poesie. La mia, forse per deformazione professionale, è una lettura rapida, accelerata, a tratti disordinata, che non ammette soste: insomma, è la classica lettura che si fa dei quotidiani. O meglio è la lettura che dei giornali fa un giornalista.
E invece, ancora una volta, Marcello Scurria è riuscito a incatenarmi alla sedia e a farmi tornare più volte a rileggere il suo saggio su Tommaso Romano.
Come al solito, lo scrittore Scurria è radicale, impietoso, caustico, un fuoco che arde e che brucia tutto ciò che passa sotto il suo sguardo attento e feroce; non si lancia in lodi sperticate sic et simpliciter, ma ogni sua parola è soppesata dall’intelligenza e dallo studio attento; si porta dietro un tale bagaglio di attenzioni e di riflessioni che spesso disorientano e disarmano anche il più attento dei critici, dei filosofi o dei tuttologi che sia. Il suo, proprio come insegnava Aristotele, è un pensiero che nasce dalla meraviglia, inconsapevole che la meraviglia più grande sia proprio lui stesso, e ciò che sente e che provoca dentro di sè la lettura delle magistrali poesie di Romano lo trasmette con l’ ingenuità di un bambino e lo trasferisce all’altro come un dono.
Leggendo il saggio di Scurria ho conosciuto Tommaso Romano, o meglio, ho imparato a conoscere un pezzo di anima dell’uomo, che poi è la parte che più mi affascina nelle persone. La poesia di Tommaso Romano spalanca le braccia all’uomo che si è perso, all’uomo che ha bisogno di conforto, all’uomo che ama, all’uomo che brama, all’uomo che cerca la speranza, all’uomo che vive senza futuro. Le sue liriche offrono un porto ove le membra stanche e stordite da una quotidianità disumana riescono a riposare e l’uomo sente di non essere solo. Le poesie di Romano sono costruite sulle macerie del materialismo fine a sé stesso e hanno un impianto e un rimpianto irresistibile, e soltanto nella scrittura possono trovare una terapia e un risarcimento.
Costante di queste liriche è un inno all’essere in tutta la sua struttura fisica e psichica, un vivere una dimensione che impone l’annullamento del sé soggettivo per diventare parte e struttura di un universo che vive e pulsa, dove per essere bisogna bruciare, e il messaggio non si può capire se non partendo dall’autore, dal mondo dell’autore. Semplificando al massimo, si può dire che le poesie di Tommaso Romano, così come presentate da Marcello Scurria, sono un’analisi dell’inquietudine, litanie, preghiere involontarie che convivono in una contemporaneità estrema. Con un termine preso in prestito dal mondo della spiritualità, le poesie sono Ammokònia, l’alchimia di un’esistenza. Punto.
La questione di fondo poi sembra la stessa: l’uomo e la ricerca di sé per trovare l’altro da sé. Ma quest’altro da sé, cos’è? Cosa sarà mai? Forse andare alla ricerca dell’uomo per ritrovare Dio o, al contrario, andare alla ricerca di Dio per ritrovare l’uomo? Marcello o Tommaso, aiuto.
Dott.ssa Nunzia Scalzo
Direttrice dei “I Vespri , la nuova informazione”
Via Vecchia Ognina 142/B
95126 Catania
Di marcello scurria
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