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Recensione Il carico da Undici. Le carte di Andrea Camilleri
Dal 25 ottobre è disponibile in libreria un nuovo volume firmato da Gianni Bonina, autore siciliano piuttosto prolifico che ha al suo attivo diverse pubblicazioni, tra cui il reportage sulla Sicilia “L’isola che trema” (Avagliano, 2006) e i saggi “I cancelli di avorio e di corno” (Sellerio, 2007) e “Maschere siciliane” (Aragno, 2007).
Questo nuovo volume è edito dall’editore “Barbera” e vede come protagonista il padre del commissario Montalbano: Andrea Camilleri.
“Il carico da Undici. Le carte di Andrea Camilleri” – questo il titolo del romanzo – non tratta però solo le vicende del celebre commissario di Vigàta. C’è un po’ tutto Camilleri, qui. Il Camilleri dei romanzi civili ambientati in Sicilia, quello della sperimentazione narrativa, quello che dimostra una vocazione analitica al saggio. E poi i personaggi, le atmosfere, i contesti e le suggestioni che hanno fatto dello scrittore di Porto Empedocle l’erede di Pirandello e Sciascia.
Un autore di peso, Camilleri, spesso accusato di eccesso di successo ma che ha già lasciato un segno indelebile nella storia letteraria del nostro paese.
Anticipiamo di seguito uno stralcio del libro.
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- Lei ha cominciato a scrivere il suo primo romanzo, Il corso delle cose, in un lontano giorno che cadeva il primo aprile. Il segno che si sarebbe divertito molto?
"Ho cominciato a scrivere il mio primo romanzo un primo d’aprile, è vero. Ma non so onestamente dire se sia stato per caso o per causa".
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- Di Il corso delle cose, uscito nel 1978, abbiamo due versioni: la samizdat della Lalli e la selleriana, che è la stesura approvata da Nicolò Gallo, quella con un maggiore cromatismo espressivo. Dunque Gallò fu uno dei suoi persuasori occulti?
"Quando mi decisi, dopo molte esitazioni, a mandare il dattiloscritto a Nicolò Gallo, che mi onorava della sua amicizia, egli per tre mesi non mi diede più notizie di sé. Allora gli scrissi due righe dicendogli che, piuttosto che perdere la sua amicizia, preferivo liberarlo dall’obbligo di darmi un giudizio sul romanzo. Mi telefonò due giorni dopo, invitandomi ad andarlo a trovare. Mi ricevette nel suo studio. Sopra il tavolo c’era il mio romanzo e, accanto, un mucchio di foglietti. Mi disse subito che gli era piaciuto e che l’avrebbe fatto pubblicare da Mondadori nella collana che dirigeva con Vittorio Sereni. Ma non prima di due anni. Nel frattempo, potevo rimetterci mano. «E come?» gli domandai. «Con più coraggio» mi rispose. Insomma, voleva che spingessi più a fondo il mio linguaggio. I foglietti contenevano i suoi suggerimenti. Me li consegnò. Io mi ripromisi di tenerne conto, ma dato che avevo tanto tempo davanti a me, preferii rimandare l’inizio della revisione. Poi Nicolò morì. E io persi, oltre il grande amico, anche l’unico contatto che avevo con la Mondadori. Così, quando Lalli mi domandò di stampare il libro in cambio della pubblicità televisiva (perché nel frattempo Il corso delle cose, sceneggiato da Dante Troisi e Antonio Saguera col titolo La mano sugli occhi era in lavorazione in Tv), io ebbi, non so perché, ritegno a rivederlo seguendo i consigli di Nicolò. La revisione l’ho fatta molti anni dopo, in occasione dell’uscita con la Sellerio. Dalla comparazione tra l’edizione Lalli e l’edizione Sellerio è possibile capire perfettamente quello che da me voleva Nicolò. Persuasore occulto, appunto".
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- Questo primo libro è un remoto antecedente della serie di Montalbano, visto che un Montalbano embrionale lo scorgiamo nella figura del maresciallo Corbo?
"Sicuramente è un embrione della serie Montalbano, ma qui il maresciallo Corbo è un personaggio secondario, perché non si tratta di un giallo classico".
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- Il suo ideale originario di inquirente era dunque un maresciallo dei carabinieri anziché un commissario di polizia?
"No, all’epoca non mi passava neanche per l’anticamera del cervello che un poliziotto o un carabiniere che fosse sarebbe potuto diventare il protagonista di un mio romanzo".
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- Il paese non è mai nominato: non è ancora Vigàta ma è certamente Porto Empedocle, che in tutta la sua futura opera non sarà mai più così facilmente riconoscibile come in Il corso delle cose.
"Sì. Il paese non è nominato, ma è riconoscibilissimo, tra l’altro, dalla «Scala dei turchi» dove si svolge l’ultima scena. Poi l’invenzione di Vigàta lo renderà meno facilmente connotabile".
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- Pensando alla casa di Vito immaginava forse la sua casa di Porto Empedocle? Stesso vicolo, stesso spiazzo, stessi piani dell’abitazione...
"Proprio così. La casa di Vito è esattamente la mia casa di Porto Empedocle".
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- In questa sua prima prova lei guardava più a Sciascia o a Pirandello, visto che ci sono entrambi?
"Forse c’è più Sciascia. Ma, mi creda, per non essere interamente risucchiato da questi due signori ho dovuto faticare molto".
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- Abbiamo un luogo importante che svolge un ruolo diciamo di nuncius: il bar, visto come stazione di scambio di notizie ma anche come fonte di informazione del lettore. Nei romanzi civili il bar sarà sostituito dal circolo che però avrà un compito diverso: di regia della vicenda.
"In realtà il bar prevale nei romanzi ambientati ai giorni nostri, mentre il circolo nei romanzi storici e civili. Nell’Ottocento e fino ai primi decenni del Novecento c’erano, nei paesi, molti più circoli che caffè".
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- Epperò nella serie di Montalbano non ci sono né bar né circoli perché il loro ruolo sarà ricoperto dal commissariato oppure, in certi casi, dai coéquipiers di Montalbano: Burgio, Zito, Vasile Cozzo, Ingrid, Livia...
"Nella serie di Montalbano, a ben guardare, qualche bar si trova. Ma non c’è dubbio che questi bar non hanno la stessa funzione dei circoli".
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- Ne Il corso delle cose fa la sua prima epifanica apparizione il funzionario pubblico piemontese, figura costante nella sua tipologia umana, generalmente vista con disfavore e celia. Qui è il capitano Bartolini, che però ha un ruolo marginale. Questo mi fa pensare che già a quel tempo, ancor prima che uscisse l’Inchiesta parlamentare sulle condizioni della Sicilia, lei nutrisse sentimenti antiunitari.
"I due volumi che compongono l’inchiesta parlamentare del 1875 furono in effetti stampati dall’editore Cappelli di Bologna il primo nel 1968 e il secondo nel 1969, ma furono messi in
vendita in un unico cofanetto solo alla fine del 1969. Quindi, quando scrissi Il corso delle cose, quell’inchiesta non avevo avuto ancora modo di leggerla. Ma vorrei precisare che io non nutro un’avversione antiunitaria. La mia avversione è solo per i modi coloniali coi quali l’Unità venne realizzata. E dei quali, ancora oggi, siamo costretti a patirne le conseguenze. Ma non lo dico solo io. Lo dice anche e soprattutto Pirandello: basta leggere I
vecchi e i giovani".
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- Tra Il gattopardo, Le città del mondo e I vecchi e i giovani pensa dunque che sia questo a rappresentare meglio la Sicilia?
"Non c’è dubbio. È il romanzo che ha avuto per me un passaggio importante. L’ho realizzato in sei puntate di un’ora l’una alla radio e l’ho rifatto di pianta rendendomi conto del significato estremo che riveste per i siciliani. I vecchi e i giovani ha la capacità di rappresentare la Sicilia con una sorta di ferocia della memoria. Invece Le città del mondo rimandano una memoria utopistica e Il gattopardo una visione antistorica".
Massimo Maugeri
IL CARICO DA UNDICI. LE CARTE DI ANDREA CAMILLERI di Gianni Bonina
Barbera Editore, 2007
pagg. 624, euro 15,90
In libreria dal 25 ottobre 2007
Di Massimo Maugeri
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