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Recensione Magda Szabò la ballata di Iza
I buoni libri rimbalzano di mano in mano come frutti golosi: ne catturiamo uno al volo da una fervida lettrice ( le sarà mai capitato di vedersi dedicare una recensione?).
Da sfondo le baracche dell’ Alföld ungherese che stanno lasciando il posto ai grandi caseggiati condominiali, i laghi di ghiaccio dai fremiti nascosti, le combattute primavere.
E un gioco di specchi con al centro Iza, gli anziani genitori e i due uomini che hanno incrociato brevemente la sua strada. Lei, che da ragazza ha vissuto l’umiliazione della messa al bando di suo padre (giudice) ad opera del regime, si è costruita addosso
un’ armatura, pronta a difendere come un soldato se stessa e i suoi da ogni attacco della vita.
Ha imparato a far sì che gli eventi si succedano senza ferire, a non commuoversi per le canzoni tristi e le chitarre danubiane. Perfetta organizzatrice delle esistenze altrui, trascina a Budapest con sé la madre Etelka, fresca vedova tutta sentimenti e nostalgie, sradicandola dal villaggio cui è legata a doppio nodo. Basta ninnoli scalfiti, minestre di cavolo, fornelli a spirito: è con un atto di forza che la depreda del passato. La casa borghese in cui Etelka si aggira diventa una gabbia, le risucchia le forze, la ingiallisce come fiore di zucca. Iza, stimato medico in carriera, non ha tempo per raccogliere chiacchiere, malumori e fantasie. La interdice dalla cucina e dal bucato, la fa sentire inutile più di un soprammobile. L’unica sua libertà sta nel girovagare furtivamente sui tram senza una meta, con una triste sporta al braccio.
Iza è ora una madre severa, Etelka una bambina maldestra e inaffidabile. Iza, la creatura
devota che pensa ad Etelka ed anzi pensa al posto suo, ha finito per soffocare
quest’ ultima. Che un giorno cede al richiamo del vento molesto ma familiare delle basse terre e via sul treno verso l’antica dimora, verso le rose dell’amato marito che al crepuscolo sanno di denso miele. E là, dove niente è più come prima, durante una spericolata peregrinazione notturna nei luoghi della memoria, volteggiando come la colomba di una cantilena sulle assi di un cantiere, incappa in un mortale accidente. I destini sono compiuti, le due donne che avrebbero dovuto ritrovarsi adesso non si appartengono più davvero. Iza arriva a un passo dal dolore, dal lasciarsi andare ma si ricaccia nel suo vuoto ( nessuna pietà ma rabbia per una madre ingrata che ha voluto correre dietro alle sue ombre ), quel vuoto che spaventa chiunque si avvicini a lei (fuggono sia Antal che Domokos, cuori semplici e sinceri ). Non si è nutrita di affetti e non ha nutrito a sua volta: ora è sola e senza difese in mezzo alle crepe della sua perfezione.
La storia è ben congegnata, il filo narrativo ben retto, l’intensità delle pagine nulla toglie alla scorrevolezza, il sapore tragico è molto sfumato malgrado i due lutti che sono piuttosto occasioni per i personaggi (inclusi quelli marginali ) per interrogarsi, per spezzare e riaccostare frammenti di se stessi.
Sia la Szabó che il suo libro hanno parecchie stagioni sulle spalle: chi lo direbbe?
Di medialuz
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