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Recensione Salvatore Niffoi

Salvatore Niffoi

Niffoi

Da conterraneo e contemporaneo, intendo solo abbozzare alcune sensazioni che ho ricevuto dalla lettura ingorda che mi ha spinto scoprire, in qualche maniera, un premio campiello che forse mi è stato a fianco nei banchi di scuola. Premetto che sono un pessimo lettore per cui non ho pretesa di fare testo, ma, per certo, quello che sento e dico è di una verginità immacolata, lontana da pose, giri di parole, mode e via dicendo. Ho chiesto ad altri prima di fare la mia buona lettura e ne ho ricevuto i commenti i più disparati, e molti gli danno addosso, come all'untore, perchè blasfemo di una Sardegna che vorremmo come ciascuno di noi la sogna o la pensa. Il fatto è che lui la crea così. Un quadro slegato da ciò che ci aspettiamo e per questo scioccante, turbativo del sedimento del piacere che avevamo preparato per giaciglio al suo narrare, al suo evocare una terra maledetta, fuori dalla grazia di Dio, e aggrovigliata, invece, nell'improbabile, nel maleodorante vomito di tragedia che come una melma trattiene i suoi personaggi legati a una vita della quale non scelgono alcunchè. Certo è che lo shoc è uno dei pregi che il lettore ( quello sardo in particolare) tende a derubricare in spregevole tendenza iconoclasta che non accetta per amore filiale verso la propria terra. Io penso invece che il quadro che viene dalle tinte del Niffoi è di una potenza inusitata, e che ben poco c'è da commentare, bisogna accettarlo per quello che è, che piaccia o no, come una creazione, per l'appunto. Colori e contrasti forti che evocano le estati violente, di un sole che non perdona, della nostra terra e che a questa si legano nello scenario, seppur sovreccitato, che ad essa terra si rifà, per poi liberarsi e partorire una storia mai esistita in un paese che non c'è. Ma la narrazione non è cronaca, è il libero volo di un anelito che si copre di penne e d'inchiostro e vola cieli spesso sconosciuti e incredibili, improbabili. Nella lettura mi sfugge la scena, il tratto del particolare e mi rimane una sensazione d'assieme che come ho detto è possente e per dargli un giudizio, ma questo non è mestiere mio, bisogna sradicare l'enunciazione del fato dal contesto che ci saremmo aspettati. La metafora fortissima ha il colore e il puzzo del sangue aggrumato, l'afa ha il silenzio delle nostre estati, il gelo è quello pure di una Sardegna che abbiamo sentito raccontata dai nostri vecchi e che non c'è più. La storia però rimane, totalmente inventata, in un posto che, si sente, è parente della sardegna, ma già lontano, oramai, nella vaghezza della narrazione, nel delirio dell'arte dello scrivere che sprofonda in cavità abissali o che perfora altezze inarrivabili nello slancio della febbre enunciativa. Niffoi scrive, scrive, scrive, e si sente che ha tanta voglia di farlo, che ha in corpo tante cose da dire e volutamente le racconta a quella maniera dirompente, dissacrante, facendo salvo uno spirito, altrimenti indefinibile, che aleggia lungo tutto il suo racconto e che lo tiene apparentato alla nostra terra. Nelle sciabolate ( è evidente che il fioretto non è la sua arma) Niffoi sembra trovare un appagamento interiore a una sorta di rabbia contro una storia che ha lasciato ferma la terra dei suoi attori. Lì si ferma anche lui, senza trovare un orizzonte luminoso, una via d'uscita comunque, una speranza, alle vicende torbidamente attraenti che nascono e muoiono nel ristretto ambito di una sorte predestinata. Una fissità della scena dove ogni carne ferita è destinata a putrefare, ogni animo sensibile è destinato a patire, ogni cuore amante è costretto a trasgredire. A soffermarsi le metafore potrebbero portare anche a letture di un male eterno che non conoscerà redenzione, perchè questa è la vita comunque la si volgia colorare...Rimane tuttavia l'importanza creativa, la bontà dell'invenzione, il coraggio dell'ardire che danno a Niffoi ampiamente ragione. Il mondo è quello che tutti i giorni vediamo sorgere dalle nostre montagne e quello che i midia ci portano dentro casa da lontane propaggini di vita, lembi di esistenza trascinata a stento, maltrattata, oltraggiata, vilipesa, trucidata, violentata, stuprata, sputata in corpi ammassati in fosse comuni, massacri narrati e taciuti, eccidi pieni di sangue aggrumato che spande il fetore nel mondo intero e che troppi fanno finta di non sentire. La forte narrazione di Niffoi mi deve far arricciare il naso?

Di Corrasi

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