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Recensione Menotti Lerro

Menotti Lerro

Una nota ad Augusto Orrel: memorie d’orrore e poesie.

(Menotti Lerro, Joker 2007)

Una famiglia devastata dall’improvvisa malattia psicologica del padre, un bimbo solo, smarrito che inventa nuovi rifugi - come una soffitta polverosa - per scappare da una quotidianità tragica e dolorosa. Un paesino desolato, arido, (espressione del più squallido sud Italia) denso di bigottismo e cattiveria, dove la gente riesce a mettere in scena crudeltà impensabili verso i piccoli, indifesi, componenti della famiglia Orrel.
L’ultimo libro di Menotti Lerro, pubblicato nel marzo del 2007 (Joker), è di un’altissima complessità a partire dalla struttura del testo: una falsa autobiografia - poiché il romanzo non risponde ai canoni essenziali (dettati da Philippe Lejeune) affinché si possa parlare di testo autobiografico. Interessante l’artificio letterario proposto da Lerro, ossia affidare la narrazione delle vicende di Augusto ad una terza persona (se stesso) che filtra la storia attraverso la sua penna, presentando un’autobiografia fittizia, come se fosse lui stesso ad aver vissuto le vicende narrate. Un vero e proprio colpo di genio. Inoltre, ogni capitoletto è introdotto da alcuni versi che ne anticipano e ne sintetizzano la trama. La poesia, dunque, gioca un ruolo primario in questo testo, fino a divenire un’essenza salvifica, permettendo ad Augusto di manifestare attraverso i propri versi tutto il suo dolore e i suoi pensieri. Non a caso, infatti, a metà del libro, è inserita una raccolta di poesie di Augusto mediante la quale riesce finalmente ad esprimere se stesso, senza l’ausilio di un intermediario; figura al contrario necessaria nella narrazione delle vicende descritte nel testo, data l’incapacità del protagonista di raccontarsi attraverso una prosa autobiografica. Ecco, quindi, spiegata la scelta di affidare la narrazione allo stesso Lerro, depositario delle sue confessioni:

Sorta di contemporaneo Werther, Augusto Orrel è la figura romanticamente struggente, nondimeno reale e palpitante, di un giovane uomo del sud, tormentato dal processo di crescita, il quale, per pudore, onestà e senso dell'autolimite, accetta di fare raccontare le sue vicissitudini da un amico, depositario delle sue più intime confessioni. Ne seguiamo la storia dall'infanzia all'età adulta, periodo complesso sotto ogni punto di vista - familiare ed esistenziale, economico e psicologico, sentimentale e sessuale - durante il quale, tuttavia, Augusto cerca di rispondere al proprio impulso creativo e acquisire autonomia da quelle forze che ne vorrebbero limitare l'espressione. Vive e cresce fino alla giovinezza in un Paese, l'Italia, che vede penosamente diviso tra culto opprimente e prescrittivo dei valori tradizionali e nazionali ed il culto disumanizzato di un tecnologismo postcapitalistico, svuotato di contenuti e di memoria storica. La presa di coscienza che Augusto Orrel raggiunge sul piano psicologico, oltre che politico, culturale ed artistico, ha luogo all'estero, e si attua grazie alla costante mediazione della poesia, il genere elettivo, che Augusto condivide con una delle sue sorelle, a cui è fortemente legato a causa dei gravi traumi subiti da entrambi nell'infanzia. È il padre, uomo che nell'apice della sua malattia arriva ad essere anche violento, afflitto da gravi turbe psichiatriche, la causa prima del disagio esistenziale dei due giovani, e soprattutto della loro rispettata, umile madre. Il conflitto edipico salda, ma infine libera straordinarie energie creative ed introspettive, sia in Augusto, sia in sua sorella, non senza bbligarli a percorrere i tunnel dell'angoscia giovanile più radicale. Nelle fasi cruciali e, dunque conclusive, della storia di quest'odierno anti-eroe, l'Inghilterra non è mai presentata come una terra onirica di false speranze e conquiste, ma la nazione moderna, viva e problematica che, pur dalla prospettiva febbrile di una necessaria emancipazione, consente ad Augusto di pervenire all'accettazione di se stesso, delle sue origini e del suo passato.
Erminia Passannanti


Dopo i primi capitoletti, il testo sembra scivolare via attraverso il binomio Lerro/Orrel, ma improvvisamente spuntano inaspettati due nuovi personaggi, atti ad offrire una nuova chiave di lettura al testo, altri punti di vista della storia narrata. Infatti, Mary Orrel - sorella di Augusto - presenta il suo personaggio attraverso delle struggenti lettere, indirizzate ad un’altra sorella, Luan, che condivide con il fratello l’amore per la poesia e vaga per il mondo in cerca di una sua dimensione, cercando probabilmente riscatto. Il personaggio Luan, inoltre, potrebbe rappresentare una sorta di versione femminile di Augusto e, non a caso, viene cosi presentata dal protagonista:

Vivevamo con la stessa insofferenza verso le cose, la stessa irrequietezza psicologica, frutto della noia secolare (come lei usa definirla), le stesse ambizioni, gli stessi piaceri, la stessa infinita, terrificante solitudine, propria di chi non ha casa, non ha rifugio…

Mary, invece, è l’unica a rimanere nel luogo natio e, non avendo la forza per partire, si lascerà andare alla deriva, travolta dal paese e dalla pazzia della propria famiglia. Non potrà evitare di ammalarsi, finendo rinchiusa in un ospedale psichiatrico e ripercorrendo, così, la storia orribile del padre.
Prima del finale del testo, dove la voce narrante riprende in mano la vicenda come aveva iniziato, ovvero esternando le sue verità, bisognerà ancora fare i conti con un’ulteriore storia nella storia, inserita – come spiega Lerro nell’introduzione – allo scopo di mostrare, tra l’altro, quante difficoltà possa incontrare un giovane proveniente dal sud Italia nello studiare all’estero (esperienza vissuta anche dallo stesso Augusto). Storia di un cilentano in giro per il mondo è, infatti, la storia di Pietro, giovane squattrinato che vince una borsa di studio Erasmus per l’Inghilterra, dove si innamorerà di Catherine, studentessa russa, che darà vita con lui ad un’intensissima quanto sfortunata storia d’amore. La storia di Serse Monetti (Lerro) mostra l’abilità dello stesso autore di scrivere con stili diversi: dal linguaggio secco, risoluto e colto dell’autobiografia, a quello colloquiale e semplice delle vicende di Pietro, passando per il linguaggio “femminile” delle lettere di Mary e quello complesso delle poesie. Il libro presenta, dunque, vari livelli di lettura.
Oltre alla struttura intrigata del romanzo, si nota la complessità di Augusto: bambino sfortunato che riesce ad emergere lottando contro tutto e tutti, persino contro se stesso, ossessionato e logorato dai ricordi e spaventato che la storia possa ripetersi, segnando dunque quella che egli avvertirebbe come una sconfitta peggiore della morte stessa. Augusto, comunque, non appare vittima, ma come un Cyrano lotta contro tutto ciò che rifiuta, soprattutto grazie alle pagine del quotidiano dove lavorerà (gratuitamente) per diversi anni. Nella sua “autobiografia” si scorgono varie accuse tra le righe. Interessantissima la narrazione della sua esperienza di lavoro, in una casa editrice, dove scoprirà che anche i poeti (uomini da lui fino ad allora idealizzati) non sono, spesso, meno miseri degli altri uomini, dato che usano il proprio prestigio per sedurre e illudere fanciulli e fanciulle:

A Milano ebbi modo di frequentare i grandi artisti della letteratura del periodo.
(…) Il ruolo primario che ebbero nella mia formazione fu quello di farmi capire che l’essere umano era marcio in tutte le sue categorie. Capii che anche i poeti invidiavano, odiavano, ricattavano, sfruttavano il loro nome per sedurre fanciulle o fanciulli. Insomma, l’idea di grandi uomini che io associavo a queste menti era soltanto una stupida utopia. Utopia che comunque dovevo prima o poi eliminare dalla mia mente poiché ero certo che l’arte dovesse essere impersonale. L’artista non è mai (se non poche volte) ciò che scrive, e deve, dunque, essere giudicato solo per come predica e non per il suo razzolare.


Questa presa di coscienza servirà, comunque, al giovane per capire che l’artista non è mai, se non raramente, ciò che scrive, e dunque deve essere giudicato solo per il suo lavoro d’artista e non per la sua vita privata. Questa è una delle tante “pillole” di Menotti Lerro che, attraverso la figura di Augusto, espone la propria filosofia di vita, le proprie convinzioni letterarie.

Possiamo citare:

1) La definizione che Vito Bruno (un vecchio pittore che ondeggia tra saggezza e pazzia) offre della poesia:

Poesia? Una poesia non è semplicemente un testo in versi! Se lo fosse tutti potremmo creare delle poesie scrivendo le proprie sensazioni e mettendole in strofe definite. Poesia è invece un giudizio critico, nel senso che vi può essere poesia in tutto, persino negli occhi di questo ragazzo che mi guarda con ammirazione. La poesia, signori, è dentro di voi e nel mondo che vi circonda. Qualcuno prova a descriverla con le parole, altri a metterla su carta, io a dipingerla, altri ancora a pensarla, qualcuno a suonarla. Poesia è mia moglie Dora che mi prepara il sugo per gli spaghetti e che ora proprio non resisto dall’andare a mangiarmeli, ah ah! -, aveva affermato prima di sbottare nella sua consueta risata.

2) La riflessione che emerge dopo la narrazione di una complessa scelta amorosa di una ragazza:

Quando avevo circa vent’anni capitò casualmente che io e un altro amico scoprissimo di provar interesse per una stessa ragazza. Era bellissima, e presto mi accorsi che restava affascinata – per così dire – dalla maledizione che si cela spesso dietro ai poeti e in alcuni tipi di persona. Infatti, non faceva altro che esaltare i cosiddetti “poeti maledetti”. Io però, sebbene consapevole che sarei potuto apparire ai suoi occhi interessante se le avessi mostrato il mio spirito, non riuscivo a far altro, come sempre, che cercare di nascondere tutte le mie ossessioni, i miei turbamenti, le mie angosce più spaventose; in altre parole cercavo di essere, o meglio di sembrare, ciò che si suole definir normale. Ed , infatti, presto lei rivolse le sue attenzioni al mio amico che essendo un essere in realtà sereno e realmente “normale” non faceva altro che giocare con se stesso e con lei il ruolo dell’anima demonizzata.
Mi accorsi allora, ancor più, di quanto fossero strani il mondo e gli esseri umani: l’uomo “normale” vuole esser pazzo e i pazzi vogliono essere normali. E la donna normale che si crede pazza e cerca un altro pazzo come lei, trovandosi a contatto e nel dover scegliere tra un pazzo che cerca di esser normale (atterrito dallo spavento della pazzia) e un normale che vuole esser pazzo (per crogiolarsi in quella che egli crede un’aria salvifica) finisce con lo scegliere il falso spirito inquieto, e unendosi a quest’ultimo resta convinta di aver scelto l’essere a lei più affine: complesso e mentalmente instabile, per sempre certa di essersi innamorata di una persona tenebrosa e travagliata.


3) La sua idea sulla necessità di conoscere il male per apprezzare il bene:

Credo che coloro che affermano: “bisogna conoscere il male per apprezzare il bene” si sbaglino, poiché chi ha vissuto il vero orrore, non riuscirà mai a gioire veramente per il sole che sorge.

4) L’accusa politica:

La sua posizione di forza nei miei confronti le era data dalla gerarchia aziendale, ed inoltre il ‘contratto a progetto’ faceva sì che si sviluppasse una sorta di ricatto per coloro che lavoravano in quell’ambiente. Infatti, se teoricamente non si avevano né limiti di tempo né di presenza, l’azienda ci costringeva a stare lì tutti i giorni, a volte anche più delle otto ore che toccavano a dipendenti assunti a tempo indeterminato. Questo avveniva perché se ci fossimo opposti, facendo valere i nostri diritti, era chiaro che mai quel contratto ci sarebbe stato rinnovato.

Tra le altre figure di rilievo emerge quella degradata del piccolo Gaetano, bambino incontrato in collegio (struttura ancora esistente oggigiorno e, pertanto, non solo simbolo del passato) nella breve parentesi in cui Augusto vi soggiornò. Da anni Gaetano, abitava quelle mura e a lui “sembrava normale che il padre l’avesse richiuso dopo la morte della prima moglie”. Al vivace Gaetano “che piange di notte”, proprio come Augusto nella sua infanzia, si contrappone il silenziosissimo bimbo che adagia un cappottino sulle spalle sia in estate che in inverno, che fischietta ovunque tranne nei luoghi dove è proibito farlo ed apre le tapparelle della finestra al mattino, pochi secondi prima che suoni la sveglia, nonostante non abbia un orologio.
Terribile la figura del datore di lavoro che Augusto incontra a Milano, dopo essersi laureato, nella casa editrice: R.F. donna frustrata e presuntuosa che non perde occasione per umiliare il giovane, forse per puro sadismo, forse perchè colpevole di provenire dal sud.
Nelle sue ipocondrie e le sue incertezze, Augusto sembra essere una figura forte o quantomeno conscia delle proprie debolezze. Sembra certamente più maturo dei suoi trent’anni e non a caso proprio nel primo paragrafo – iniziando a narrare le sue vicende - afferma:

Quelle che state per leggere sono le memorie di un uomo che, a trent’anni, è già vecchio. Per questo, forse, sente l’esigenza, tipica di coloro che si avviano alla morte, di raccontare se stesso. Non fosse altro che per il timore ipocondriaco di spegnersi improvvisamente e che, di conseguenza, la sua sventurata storia non venga mai fuori. Quest’uomo, a dirla tutta, è un codardo. Credo, infatti, che se non lo fosse si sarebbe già sparato un colpo ad una tempia o buttato in un fiume. (…)

Dunque, un personaggio che cerca di capire e capirsi, alla ricerca di nuove, vitali soluzioni.
Magnifica e molto dolorosa, inoltre, la confessione riguardo i suoi stati mentali di fanciullo:

Devo, a questo proposito, confessare che la mia adolescenza passò accompagnata da paure incontrollabili. Ero vittima di un’ipocondria assoluta. Il timore di diventare pazzo, di ammalarmi fisicamente mi ossessionava costantemente ed ero solito somatizzare ogni minimo acciacco del corpo e della mente. Mi ripetevo: “Se mi ammalo… non solo nessuno potrà aiutarmi, ma non potrò neppure più stare vicino alla mia famiglia e dare loro una mano!”
Di tutto questo però, nessuno, o quasi, ne fu mai al corrente, in quanto contrapponevo ai miei stati interiori, un’incredibile risolutezza nel relazionarmi volta, forse, a compensare e rifiutare i disagi interni. Insomma, ad un’apparente forza faceva specchio il più oscuro e indicibile vuoto dell’animo.
I miei anni adolescenziali passarono così, senza cielo, senza alcuna speranza nel futuro, aspettando che la fiaba orrifica di mio padre si ripetesse su di me, sulla mia pseudo famiglia futura.


Cruda e tenera la figura del padre, uomo devastato dalla pazzia manifestatasi in seguito al fallimento della propria attività di commerciante. Fallimento verificatosi, come spiega Augusto, sempre per colpa dell’ignoranza umana. Il piccolo paese, infatti, non perdona al povero uomo di aver votato alle elezioni sindacali per il candidato da lui preferito, palesemente non sostenuto dalla maggioranza degli abitanti del paesello. Ancora una volta, dunque, le colpe ricadono sulla ferocia umana, sulla crudeltà che gli uomini sono capaci di mettere in atto. Il mondo presentato da Lerro è senza eroi, ma il lume di speranza non è ancora spento come testimonia il personaggio della madre di Augusto, donna forte e decisa che si erge ad eroina involontaria in un mondo privo di luce. In lei si riconosce la bontà residua negli uomini, il salvagente, l’ultimo appiglio.
Non a caso, infatti, alla fine l’autore riprendendo la narrazione non più in veste di Augusto, ma di se stesso - dando del tu al lettore - elogia palesemente l’eroina del suo romanzo, esaltando la figura della madre di Augusto, vera e propria àncora di salvezza:

Caro Lettore,

Augusto Orrel non ha la presunzione di insegnare niente a nessuno, poiché ci sono molte altre persone che devono essere prese a modello nel mondo e nelle vicende di casa sua. Tra queste, certamente sua madre. Come anch’egli ha accennato, è lei l’eroina della famiglia, e di una storia che vuole solo ricordare la miseria di questo mondo nel quale, ad ogni modo, tutti possono avere una possibilità.


Maria Rosaria La Marca

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