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Recensione Susanna Tamaro Ascolta la mia voce
Il libro, che si presta a più livelli di lettura, comincia con uno sradicamento. La protagonista, bambina, piange a lungo davanti al vecchio noce abbattuto nel suo giardino. La storia che successivamente si snoda, narrata in prima persona dalla ragazza poco più che ventenne, si confronta con la potente e oscura forza delle cose di famiglia non dette, delle vicende traumatiche vissute in tenerissima età e non comprese.
Alla fine saranno pienamente chiare le ragioni del suo pianto: inconsapevolmente si era riconosciuta in quelle radici divelte; e quando la consapevolezza arriverà, lei saprà che, non essendole stato consentito di guardare le proprie emozioni e di parlarne, le era stata estirpata la altrimenti naturale capacità di accogliere ed elaborare sentimenti e conflitti, consegnandola al feroce rovello della mente - sempre piena di dubbi, quando è il solo perno di una personalità.
L’adolescenza arriva con terribili crisi di insofferenza, di irrequietudine. Perseguitata da un sordo dolore che si fa rabbia e odio contro la nonna, che la accolse presso di lei quando rimase orfana ancora molto piccola, alla morte della donna va in cerca delle proprie radici. Trova il proprio padre, che dopo il concepimento aveva rifiutato – fedele alla sua filosofia di vita - ogni coinvolgimento e che, conosciutala, sceglierà di morire. Scopre che avrebbe potuto avere un fratello cui non venne concesso di vedere la luce e la verità sulla morte della madre, verità che la nonna certamente sospettava, pur non avendo mai voluto averne conferme. Si era trattato di suicidio. Va infine in Israele, in cerca dei consanguinei del ramo materno. Torna, e finalmente è capace di guardare al futuro, di fare progetti, di iniziare a vivere davvero.
Le ultime pagine riconducono circolarmente al più noto libro dell’autrice: “Va dove ti porta il cuore”. E’ l’esortazione della nonna ma anche la stella polare cui la giovane donna potrà fare riferimento d’adesso innanzi nella vita che si spalanca davanti a lei. Ciò non sarebbe stato possibile senza il viaggio spirituale attraverso i rocciosi labirinti della mente e senza il contatto con le sue radici e la terra che le nutre: metafora del ritrovato accesso ad un linguaggio comune con altri alberi, con altre anime. La capacità di ascoltare la loro voce.
E’ questo della Tamaro un bellissimo libro, che si apprezza meglio alla seconda lettura. Ricco e coinvolgente, nulla vi è di casuale. E forse non è casuale nemmeno il fatto che esso cominci e finisca a Trieste, dove di tante cose avvenute per gran parte del secolo scorso ancora troppo poco si è parlato.
Eliana Calza
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