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Recensione Monica Ali Alentejo blu parla di vite e di choc culturali che si incrociano nel villaggio di Mamarrosa, luogo immaginario e sperduto nella campagna portoghese, crocevia di speranze e disillusioni per chi vi abita e per chi è soltanto di passaggio: bambini e anziani, espatriati e turisti, contadini e fuggitivi. Le case bianche arroccate sulle colline, le porte e le finestre dipinte di blu, le strade contorte. In un’atmosfera che sembra carica di una purezza ormai perduta qualcuno è venuto a cercare la pace, qualcun altro il risveglio dell’anima. Teresa, una bellezza del luogo la cui momentanea aspirazione è fare la ragazza alla pari a Londra cercando di evadere a ogni costo da un orizzonte asfittico; Vasco, l’obeso barista che abbonda in cocktail, ma si deprime pensando alla moglie americana morta e che si aggrappa alle tradizioni per sfuggire alla solitudine; Harry Stanton, un romanziere inglese che affonda nel brandy le sue delusioni d’autore e si fa coinvolgere dalla disperata fama di attenzione del figlio dodicenne dei vicini che lo attira nel gorgo di una famiglia malata e conturbante; una giovane coppia alla prima crisi, una famiglia invadente per la sua turbolenza, il vecchio Joao, memoria storica del paese, che percorre instancabile i sentieri dell’Alentejo con il suo toro, rivivendo nella mente l’infanzia misera, gli anni della dittatura, la caduta di Salazar, fino alle comuni agricole e ai sogni negati. Vite al bivio sullo sfondo di qualche telenovela brasiliana. Tutti personaggi che aspettano che accada qualcosa, permettendo in tal modo di mettere a fuoco gli avvenimenti, come l’atteso ritorno al villaggio del figliol prodigo. Si può individuare nel personaggio di Marco quello in cui ciascuno vede rispecchiate le proprie speranze, i propri pensieri, le proprie situazioni e cerca di uscire da una possibile cristallizzazione, differenziando i suoi comportamenti. Monica Ali che ha poco meno di 40 anni, di madre inglese e padre bengalese, nata a Dacca, ma bambina trasferitasi a Londra, dove è cresciuta e partorito due figli, in questo romanzo riflette in pieno le contraddizioni di quella parte di cultura islamica che l’autrice conosce bene e che ha saputo arricchire col sale dell’intelligenza e della modernità che inevitabilmente interviene nelle nuove generazioni di figli e nipoti degli immigrati di qualunque origine. La scrittura è certo intensa, ironica e drammatica, ma qualcosa manca all’appello. La storia non si àncora definitivamente nella mente del lettore, ogni pagina è un precipitare in un abisso di non ritorno. La trama è confusa e mal delineata e anche lo sfondo portoghese è trattato con superficialità. La lettura è faticosa, non coinvolgente e disorganica. Avrebbe reso forse di più una raccolta di racconti che un romanzo. Di gianpaolo.mazza
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