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Recensione Carlo Fruttero

Carlo Fruttero

Donne informate sui fatti

Otto donne, e ciascuna ha visto o sentito uno spicchio dei “fatti” in questione, ciascuna porta al lettore ciò che sa, o crede di sapere, o non sa di sapere, o finge di non sapere. Otto voci, incalzanti, divaganti, intenerite, rabbiose, pietose, che si susseguono, si intrecciano, si smentiscono lungo quella freccia che il narratore ha scagliato a partire dal cadavere di una misteriosa ragazza, “Milena la bellissima, Milena la santa santissima” (dice qualcuno acidamente di lei). Misteriosa sul momento, perché dalla banca dati dell'Arma arriva in poche ore quanto serve all'inchiesta. Resta sospeso il perché: un truce delitto di malavita, forse. Una resa dei conti, una lezione. O forse un ingorgo più torbido, uno sbocco tortuosamente, crudelmente vendicativo a più alto e insospettabile livello.
Dopo un lustro di silenzio, Carlo Fruttero torna alla scrittura con un romanzo, un “giallo” di classe, originale e arguto che mostra diversi punti di contatto con il best-seller di trentaquattro anni fa “La donna della domenica”: l’ambientazione torinese (anche se i personaggi si muovono su vari sfondi, dalla zona residenziale della Crocetta all'Abbazia di Santa Maria di Vezzolano, dalle risaie del Vercellese ai castelli del Monferrato), un misterioso delitto (viene ritrovato il corpo di Milena, prostituta romena), la struttura corale che qui diventa polifonica. La narrazione degli eventi è, infatti, affidata a otto donne, assai differenti tra loro dove Fruttero ben delinea il carattere e la psicologia di ognuna delle donne che si avvicendano nella narrazione: la bidella, la barista, la carabiniera, la figlia, la migliore amica, la giornalista, la volontaria e la vecchia contessa che si producono ciascuna in una sorta di racconto-soliloquio che, ancor più dei fatti, illumina le singole psicologie. Da evidenziare la versione della vecchia contessa che pensa che nel giardino del castello si stia girando un spot pubblicitario invece di un matrimonio (vero). Osserva, l’anziana signora, che la recitazione di alcuni “attori” è scarsa e che quanto sta accadendo è tutta una finta. Nell’ambito della narrazione la contessa ha torto ma, senza saperlo, è l'unica che dice la sacrosanta verità. Nella vita vera tutti noi non recitiamo un ruolo che non ci appartiene e forse non fingiamo di essere quello che in realtà non siamo? Magistrale nel rendere il concertato di cadenze e inflessioni piemontesi (i personaggi d'origine popolare hanno l’accento delle periferie, laddove le borghesi si esprimono in una lingua inamidata figlia forse di affrettate letture), Fruttero si muove da par suo anche nel tirare i fili della vicenda: godibile, a tratti divertente, il romanzo ha tuttavia una nota dolente di fondo, che si evidenzia appieno nello scioglimento dell'enigma. A dominare, pure nel mutar dei tempi, dei rapporti fra le classi, del concetto d'etica, è ancora e sempre la valenza distruttrice della passione, della vendetta, della gelosia. Motivazioni antiche per scenari nuovi e cangianti, dove eguali rimangono il cuore e la mente delle persone. Un romanzo carino, insomma, con uno stile molto garbato e, a tratti, ironico. Interessante l'impianto narrativo che si arricchisce ancora di più grazie allo stile linguistico che alterna tensione e leggerezza senza mai perdere di vista l'aspetto legato all'attualità dei fatti e nello specifico alle problematiche legate all'immigrazione.
La trama gialla, anche se è un evidente pretesto per creare otto piccoli affreschi di figure femminili, è godibile anche se, alla fine, non risulta certo essere un capolavoro. Il grande merito di Carlo Fruttero è quello di raccontare pezzi di umanità che si perde, si ritrova, vive se stessa e gli altri in maniera quasi distaccata esattamente nello stesso modo in cui sta andando la società: verso un individualismo sfrenato che non lascia spazio al prossimo e anzi cerca di farlo soccombere.

Gianpaolo Mazza (gianpaolo.mazza@virgilio.it)

Di gianpaolo.mazza

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