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Recensione J. T. Leroy Quando è uscito Sarah di J.T. Leroy è stato subito caso letterario. Un caso letterario annunciato, per la storia che raccontava il libro, il modo in cui la raccontava e per l’identità dell’autore. La vicenda autobiografica di un ragazzino neanche adolescente, figlio di una lucertola da parcheggio, cioè una prostituta, che vive in una stazione di servizio del West Virginia e pensa che proseguire la carriera della madre sia la cosa più naturale del mondo. Il viso angelico e i riccioli biondi non passano inosservati, il ragazzino sceglie come nome di battaglia Sarah, lo stesso della madre, e sale sui camion a farsi palpare dai camionisti vestito da brava bambina la domenica. Attorno a lui, un mondo di parcheggi e camionisti con slip da donna, un pappone-sciamano il cui vero nome è Grateful Glad ETC, deliziose drag queen che sognano solo di diventare vere geishe o cuochi provetti, e un ciondolo di osso di pene di procione come amuleto. Ma Sarah vuole diventare una vera lucertola da parcheggio, scappa e finisce nelle grinfie di Le Loup, che prima la trasforma in una santa protettrice dei camionisti e poi, scoperto il trucco, lo manda a prostituirsi. Una storia tragica e dura che comprende tutti i peggiori incubi della nostra società, dalla pedofilia alla prostituzione passando per madri snaturate, papponi, alcool puro e colla da sniffare, botte e degradazione. Ma il protagonista con la sua pelle di pesca e i riccioli biondi passa attraverso le vicende che racconta come in una favola, dolce e ingenuo come non mai, e non è un caso che il libro sia stato definito “Alice nel Paese delle Meraviglie in acido”.
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