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Recensione Vasco Pratolini Romanzo breve, pubblicato da Vallecchi (Firenze) nel 1942; la composizione risale al 1941; nel 1956 entra a far parte di “Diario sentimentale”, presso lo stesso editore. Nelle forme del racconto autobiografico di formazione – che prende il titolo dalla strada fiorentina in cui l’autore è nato – Pratolini (qui col nome di Valerio) ripercorre i traumi di un’infanzia infelice, sino alle soglie dell’adolescenza che si apre su una speranza d’amore: gli anni della prima guerra mondiale trascorsi nella buia e fredda casa di via de Magazzini (con le ricorrenti immagini della "balaustra" e del "muro" che gli impediscono un reale contatto con gli altri e solo gli permettono un’ "invenzione di vita"), le privazioni e la fame dignitosamente sofferte, la malattia e la morte della madre (poi trasfigurata e come angelicata nel ricordo), la mano della nonna che lo protegge ma anche ne frena gli slanci di vitalità, le nuove nozze del padre e il difficile rapporto con la matrigna (tanto più odiata quanto più vuole proporsi come un impossibile surrogato della vera madre e perciò realisticamente rappresentata nella sua laidezza fisica e morale), la turbolenza caratteriale che lo porta ad essere espulso dalla scuola pubblica, infine la scoperta della strada, dei compagni coi quali matura alla singolare scuola della furfanteria, e alla fine l’incontro salvifico con Olga:"Potevo finalmente rivolgermi ad una creatura liberamente, con essa mi scoprivo la capacità di parlare e di ascoltare". Si compie così l’"itinerario della memoria" intrapreso nel precedente libretto di racconti “Il tappeto verde” (1941): uscito dalla prigione del proprio individuale dolore, Pratolini potrà ora aspirare a quella dimensione "corale" che costituirà la cifra dei suoi più maturi romanzi. Di gianpaolo.mazza
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