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Recensione Josè Saramago “Quando Joana Carda segnò il suolo con la sua bacchetta d’olmo, tutti i cani di Cerbere cominciarono a latrare, seminando panico e terrore tra gli abitanti”. È insieme l’inizio del libro e di un’avventura ecologica e demoniaca (non per caso tutto comincia a Cerbere, sul confine franco-spagnolo) che porterà alla frattura del crinale pirenaico e alla liberazione della Penisola Iberica dal gran corpo dell’Europa. Ed è così che, divenuta zatterone pietra, l’isola di Hispania si inoltra nell’Atlantico alla ricerca di una sua nuova identità e di un suo inedito destino. La gente è spaventata, stupita, incuriosita. Portoghesi e spagnoli, incalzati da reciproco odio, marciano in direzioni opposte con tutti i mezzi di trasporto e con molto clamore: per fuggire, per la speranza di realizzare affari vantaggiosi, per vedere la voragine che ha sconvolto la geografia. Ma nessuno percepisce il senso profondo del prodigio che si è verificato in concomitanza con altri prodigi che hanno investito con magica e profetica potenza un pugno di uomini e donne protagonisti del romanzo. Il prodigioso che hanno in comune li fa incontrare, ne fa inseparabili compagni di viaggio, li rende fratelli, ne esalta l'umanitàI Il prodigio, in Saramago, diventa poesia, metafora, denuncia, utopia. Sentimento e razionalità si mantengono in un raffinato equilibrio che salva il sentimento dalla caduta nel sentimentalismo e la razionalità dalla freddezza dell'intellettualismo. L'amore sgorga dal connubio del paradosso e della poesia, la tristezza non è mai disperazione, la speranza che si intravede come la luce di una magica notte delle ultime pagine del libro, non scade nella banalità. La vena fantastica ed ironica di Josè Saramago nutre costantemente il racconto di prodigi, l’invasione degli stormi migratori, il tremore terrestre avvertito da un solo predestinato. Il calzino di lana che si sfa in gomitolo infinito, ciascuno di per sé rivelatore e significativo. Il tutto peraltro immerso in una quotidianità di rapporti e di linguaggio che fa di questa nuova invenzione dell’autore del “Memoriale del convento” un viaggio in un universo di inconsuete e pur familiari coloriture. Il magico quotidiano: forse una nuova formula da affiancare alle molte con cui si è cercato di cifrare la nuova narrativa di matrice iberica, ma non inganni il sorriso e la piacevolezza del porgere. Scavate e dietro il gioco troverete la metafora esistenziale e politica, l’impennata tutta borghese di chi crede solo a metà in un Portogallo ultima spiaggia d’Europa e addita sub velamine nuove soluzioni atlantiche e di solidarietà ibero-afro-americana. Una favola di storia contemporanea, un forte apologo politico ed esistenziale. Europa addio. Infine, grazie a Saramago per aver scolpito, con forte e severo amore, tre splendide figure di donna. Di gianpaolo.mazza
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