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Recensione Nico Orengo

Nico Orengo

La misura del ritratto

Questo romanzo di Orengo pubblicato da Bompiani nel 1979 è la storia di una ragazza dentro una città, entrambe irrequiete e ammalianti, inafferrabili e uniche. Stretto fra l’una e l’altra c’è un Ruggero metropolitano sceso dal suo ippogrifo, che pensa di poter conoscere fino in fondo la ragazza Minou solo portandola via dalla città, e fermandola poi con la matita sulla carta. Ma lei nei margini di un foglio da disegno non ci vuole stare, e insieme tornano a circondarsi degli spazi mutevoli della città, foresta moderna e puzzle mai compiuto, unica possibile misura di un ritratto d’amore contemporaneo. Guidati dall’amico Cimpa, questi argonauti urbani si divertono a provocare la città, imparano a saggiarne le debolezze e a temerne le improvvise reazioni. Un furto sensazionale viene compiuto a Palazzo Madama, i senzatetto occupano il Museo Egizio, i muri si coprono di scritte: in mezzo a questi eventi incalzanti il romanzo precisa la sua ansia di tenerezza collettiva e quando Minou scompare e lui resta solo, sarà cercandola prima e cercandosi poi che di questa tenerezza collettiva capirà il senso profondo. Tra battaglie furiose di tifosi, incontri con nani, mostri, ragazzi danzanti, ospedali-catacombe e un passaggio ininterrotto e fiabesco di valigie colorate che attraversano vie e piazze dall’identità sempre più incerta, il romanzo arriva ad una svolta violenta e simbolica, ad un fuoco d’artificio che invera la tensione magica della storia.
Certamente uno dei peggiori romanzi di un Nico Orengo ancora grezzo e sommario sia nel modo di scrivere che nel dipanare la trama. È certamente un romanzo surreale, fantastico ma troppo incomprensibile nei propositi e nei messaggi. Da salvare, invece, pienamente l’ambientazione di Torino, che appare come città surreale, malinconica ma nello stesso tempo viva e propositiva.

Gianpaolo Mazza (gianpaolo.mazza@virgilio.it)


Di gianpaolo.mazza

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