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Recensione Natalia Ginzburg Undici testi tra autobiografia, saggio di costume e impegno pedagogico composti fra il 1944 e il 1962 e pubblicati via via su quotidiani e riviste. Undici modi di «sentire» fatti, cose, gesti, voci. Che cos’è l’amicizia? Cosa significa virtù? E parlare e tacere che valore hanno? Qual è il senso di una vita trascorsa in bilico tra i due? Aprendo mente e cuore al suo lettore, Natalia Ginzburg compone il volume Le piccole virtù un autoritratto straordinario per ricchezza e leggerezza, un affresco dei suoi pensieri e tormenti che colpisce per la nitidezza e la profondità condensate in poche pagine, tra le più belle della prosa italiana contemporanea. L’autrice offre di se stessa e del mondo nel quale è vissuta un quadro sempre garbato e penetrante, dagli squarci di vita abruzzese relativi al periodo di confino con il marito Leone Ginzburg al desolato dopoguerra, che riportano con una forza più che mai struggente il senso dell’esperienza d’anni terribili (e sanno pur farlo, serbando come Le scarpe rotte, un quasi miracoloso senso del comico), dal ritratto dell'amico Pavese (capitolo dal titolo Ritratto di un amico, certo la più bella cosa che sia stata scritta sull’uomo Pavese) alle considerazioni sul proprio mestiere di scrittrice, fino al matrimonio con Gabriele Baldini. Poi, le prove (come Silenzio e Le piccole virtù) di una Ginzburg moralista, dove una partecipazione acuta ai mali del secolo sembra nascere dalla matrice d’un calore familiare. E soprattutto, perfetto capitolo d’una autobiografia in chiave obiettiva ed ironica, Lui ed io, in cui la contrapposizione dei caratteri si trasforma, da spunto di commedia, nel più affettuoso poema della vita coniugale. Di gianpaolo.mazza
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