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Recensione Tahar Ben Jelloun Mia madre, la mia bambina.
Tahar Ben Jelloun, notissimo scrittore e poeta marocchino (autore, tra l’altro, dei best seller “L’Islam spiegato ai nostri figli” e “Il razzismo spiegato a mia figlia”, per il quale l’ONU gli ha conferito nel 1998 il Global Tolerance Award) si confronta, in questo libro, con la decadenza e il declino della madre, affetta dal morbo di Alzheimer.
E’ una donna semplice, la madre, vissuta secondo le tradizioni del suo paese, il Marocco. Il figlio ne traccia la biografia attraverso una sequenza di episodi in retrospettiva, disegnando una vita fatalista e ubbidiente, scandita da null’altro che da matrimoni, nascite e morti, illuminata da una fede salda, tollerante e gentile . Tre volte sposa: la prima, ancora quasi bambina, e vedova dopo pochi mesi con una figlia in grembo; la seconda, moglie di un uomo quasi vecchio che le darà il primo figlio maschio; infine la terza, col padre dell’autore, un uomo avaro, sarcastico e privo di tenerezze, la cui morte rappresenterà per lei una liberazione anche se certo non potrà cambiarle la vita.
Narrate dal figlio spesso senza l’apporto diretto della donna, che protegge il proprio mondo intimo con grande riserbo e pudore, le sue vicende diventano la testimonianza di quella che è stata in Marocco la condizione delle donne: vite consumate tra la cucina e la cura dei figli, e, arrivata la vecchiaia e perduti parenti e amici, giornate lunghe e tutte uguali, prive del più piccolo stimolo intellettuale che non sia quello della televisione, immerse in un analfabetismo così totale che diventa impossibile persino l’uso del telefono.
Il figlio descrive i suoi ultimi cinque anni di vita, accudita prima da una poi da due governanti, reclusa nella sua casa di Tangeri. Tratteggia il progressivo sfaldarsi dei ricordi, l’intersecarsi nella sua mente di presente e passato, le divagazioni che, con l’avanzare del male, si dilatano in abissi di smarrimento, popolati di persone una volta conosciute e da tempo scomparse che diventano interlocutrici e compagne delle sue lunghe giornate e delle sue notti.
Ai ricordi disgregati della madre fanno da contrappunto i ricordi del figlio: ne rammenta la snella figura giovanile, il fresco profumo della sua pelle quando usciva dall’hammam dopo un pomeriggio con le cugine, i suoi caffettani ricamati e i veli dai colori vivaci, le sue piccole predilezioni… Alle immagini di un corpo devastato il figlio oppone fantasie che la vedono viva, bambina che gioca, giovane sposa incinta di lui. Si aggrappa ai ricordi per poterle conservare la dignità; si abbandona alle fantasie per lenire la sofferenza, perchè l’amore ha bisogno di bellezza, e perché non trova in sé stesso una giustificazione a tanto dolore.
Rimane, del libro, il contributo personale dell’autore, reso con grande sensibilità e coerenza, di testimonianza sull’insorgere e progredire della malattia.
“… Così mia madre ha soltanto ricordi. Occupano tutto lo spazio. Quando la vedo non succede niente. Mia madre se n’è andata pian piano. Non parla più del suo funerale. In realtà pensa di essere già morta e sepolta. E’ già dall’altra parte.
Soffro e non dico niente.”
Di Eliana Calza
Tahar Ben Jelloun: Mia madre, la mia bambina. - Einaudi Editore, 2006
Pag. 180, euro 16.50
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