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Recensione Muin M. Masri Per il lettore di giornali occidentali, Nablus è una città racchiusa da una grande gabbia, circondata da sei checkpoint e da una cinquantina tra blocchi di cemento, montagne di terra, cancelli stradali e trincee; una città nella quale i passanti possono assistere, in pieno centro, all’esecuzione sommaria di un ventiquattrenne accusato di aver cooperato con i servizi di sicurezza israeliani (maggio 2006). A Masri, palestinese in Italia (da diciotto anni), queste notizie giungono, oltre che dai giornali, anche dalla madre, settimanalmente, via telefono. Sono racconti frammentari e fortemente emotivi di chi si affaccia alla finestra una mattina e vede, davanti al portone di casa, una fila di cadaveri allineati: le sue nipotine, poche ore più tardi, dovranno scavalcarli per andare a pranzo dalla nonna. Ma anche la pace si affaccia, a sorpresa, in questo scenario: con le gite nei luoghi della memoria, con i mercati frequentati da ragazzine in cerca di stoffe sgargianti e, sotto sotto, di bei ragazzi. La scrittura di Masri guida il lettore attraverso dialoghi e racconti con un ritmo cinematografico che propone, in un rapido montaggio, personaggi imprevedibili, dal vescovo cattolico Capucci, condannato a vent’anni di carcere per traffico d’armi a favore dei palestinesi, agli ubriaconi che piangono, davanti a una lapide, le vittime di una guerra mai dichiarata e terribile. Di nando
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