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Recensione Josè Saramago Oggetto quasi
E’ un’antologia di racconti del 1978 tradotti in italiano da Einaudi solo nel 1997. Proprio la distanza tra tempo della fruizione e tempo della composizione di "Oggetto quasi" ci dà la misura della grandezza dello scrittore, al di là degli entusiasmi enormi (e meritati) per romanzi di successo internazionale come "Memoriale del convento" o "Cecità”. Quando, a distanza di vent'anni - e che anni per il Portogallo! -, la prosa mantiene inalterata la sua carica espressiva e formale, nella traduzione italiana grazie all'ottimo lavoro di Rita Desti, allora si può ben dire che un'opera assurge al livello di prosa d'arte.
La raccolta si apre con "Sedia", il racconto forse più significativo, ma che per essere compreso in tutto il suo valore va inserito storicamente nel contesto sociale portoghese del salazarismo. Per il popolo di Portogallo Salazar è sinonimo di dittatore, ma anche di "sovina" e cioè tirchio. Ed è per un'arpagonata che muore: a causa dei postumi della caduta da una consunta sedia che cede di schianto, in una di quelle fortezze sul Tago fatte costruire dal conte di Lippe per proteggere il paese da un possibile attacco dal mare. Questa la realtà. La finzione letteraria trasforma la sdraio di legno e tela in una poderosa sedia di ebano tarlata, simbolo di un regime ormai marcio, ma inconsapevole del crollo prossimo venturo. Del resto poche volte la storia ha voluto essere così fedele a se stessa e al suo lessico costruendo la caduta di un regime sulla caduta fisica - e da una sedia - del suo dittatore.
Saramago coglie la straordinaria possibilità offerta dalla realtà per interpretare la caducità delle cose. La sedia e il corpo che avrebbe dovuto sorreggere si spezzano e cadono giù, al rallentatore, in una descrizione cinematografica. Con essi vanno simbolicamente in frantumi le catene di un popolo che si appresta a risorgere dall'annullamento salazarista. Sedia e uomo si uniscono e annullano a vicenda: oggetti quasi.
Come l'uomo imprigionato nella sua automobile nel racconto "Embargo", che ci riporta alla memoria gli anni dell'emergenza petrolifera e del sacro terrore di vedere il nostro universo meccanico improvvisamente spento, collassato. E al destino delle macchine è legato l'uomo, incapace di guidare o anche solo di liberarsi del suo guscio metallico semovente: oggetti quasi.
Come gli uomini-oumi-robot, replicanti alla "Blade Runner", che popolano il racconto "Cose", sostituendosi agli uomini anima-e-corpo, costretti all'esilio. Tutti racconti in cui la distanza tra oggetto inanimato e animato si annulla in una compenetrazione schiacciante, priva di vita: uomini-oggetti appiattiti in una realtà matrigna. Proprio questa visione apocalittica del nostro futuro prossimo - anche se data questi racconti e risente di certa fantascienza un po' anacronistica alla Ray Bradbury - è tuttavia la prova della capacità di Saramago di guardare oltre la spalla di chi lo precede e intravedere nel futuro la difficoltà di gestire umanamente la realtà, meccanica vent'anni fa, cibernetica oggi.
Poi, con una sorprendente giravolta, il tuffo nel mito classico di "Centauro", rivisitato nell'attualità, oggetto-quasi reale, ancora una volta uomo-inumano, che trova la sua umana pienezza dei sentimenti e delle passioni racchiuso in un corpo che lo bandisce dal mondo civile. E infine la "Rivincita", dove il protagonista è il ragazzo che prende coraggio e attraversa il fiume verso l'ignota sponda dell'amore, in direzione della donna che lo fissa dall'altra parte dell'acqua, allontanandosi dall'universo della ferocia animale in cui vive con i suoi simili. Oggetti quasi.
Gianpaolo Mazza (gianpaolo.mazza@virgilio.it)
Di gianpaolo.mazza
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