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Recensione Natalia Ginzburg La strada che va in città
Sua prima opera, pubblicata nel 1942, con lo pseudonimo di Alessandra Tornimparte a causa delle leggi razziali e scritta a Pizzoli in provincia dell’Aquila nel periodo di confino che lì trascorse per la sua origine ebraica. Il lavoro fu poi ristampato nel 1945 sotto il nome dell'autrice.
Il romanzo è la storia di una ragazza che sceglie di fare un matrimonio d'interesse, di prendere “la strada che va in città”. Per poi accorgersi che il vero amore è altrove. Passioni senza via d'uscita, vite alla deriva, anime alla ricerca di un approdo sicuro dove lenire le proprie delusioni: con impetuoso realismo ma senza alcun giudizio morale l'autrice, in questo romanzo, che è il suo debutto, descrive la solitudine di un'esistenza che nel gioco della memoria rievoca ciò che le è passato accanto come un mistero incomprensibile e inafferrabile. Inoltre il tema dell'abbandono della "tana", rappresentata dalla famiglia d’origine, per creare una nuova famiglia, e il passaggio dalla campagna alla città. La Ginzburg scrive in un periodo storico di grande trasformazione in cui avverte il trauma di questa transizione sociale e culturale. Le protagoniste del suo romanzo incarnano due tipi opposti di figure femminili: la ragazza ingenua che appare come vittima e la seduttrice sicura di sè, capace di dominare. Due opposti che finiscono per confondersi l’una con l’altra: la prima donna finisce per trasformarsi nella seconda. Da segnalare inoltre l’immediatezza e la semplicità di linguaggio, vere e proprie immagini scritte che faranno diventare la Ginzburg, con le sue opere successive, una delle maggiori scrittrici del Novecento italiano.
Gianpaolo Mazza (gianpaolo.mazza@virgilio.it)
Di gianpaolo.mazza
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