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Recensione Josè Saramago Quando H, un mediocre pittore che vivacchia grazie ai ritratti di gente altolocata, dolorosamente cosciente dei propri limiti artistici, accetta di ritrarre S., l’agiato amministratore della società “Spqr”, non sospetta che quella commissione finirà per diventare una sorta di viaggio alla ricerca di sé, una ribellione alla finzione del mondo, un’odissea dentro un tormentato universo dove la verità e la menzogna, la realtà e l’apparenza, la rappresentazione e la percezione sembrano sovrapporsi di continuo, giungendo inevitabilmente a determinare le scelte dell’individuo e il suo destino. Affidando alle pagine di un ipotetico diario descrizioni, eventi, interrogativi e riflessioni intorno al proprio essere, alla maniera di Tonio Kroger H. racconta di un’esistenza sempre in bilico tra furori creativi e tran-tran quotidiano, tra veementi speranze e repentine sfiducie: i sentimenti, le idee politiche, le amicizie, le frequentazioni artistiche e culturali, i ricordi e i viaggi divengono allora gli strumenti per indagare quel “tempo pastoso, denso e oscuro in cui nuotiamo con difficoltà, sotto un chiarore indefinito che lentamente si va spegnendo, come un giorno che, dopo aver albeggiato, finisce per rientrare nella notte da cui è uscito”. Ne risulta un romanzo d’impianto autobiografico nel quale Josè Saramago affronta, con la sua inconfondibile prosa dove si combinano invenzione linguistica e tradizione popolare, riferimenti dotti e realismo colloquiale, quella “discesa agli inferi” che lo scrittore deve obbligatoriamente compiere per appuntare il proprio nome nelle storie della letteratura, per poter raccontare al lettore l’”arcano mondo che balugina oltre il visibile”. Di gianpaolo.mazza
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