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Recensione Ugo Riccarelli Stramonio
Lo stramonio è una pianta dai fiori bianchi che cresce accanto a ruderi, rovine e tra i rifiuti; una sua modesta quantità ha virtù terapeutiche, in quantità maggiori diviene velenosa. Per queste caratteristiche stramonio diviene il nomignolo del protagonista del nuovo romanzo di Ugo Riccarelli, che ricordiamo per la contradditoria prova narrativa precedente, Un uomo che forse si chiamava Schulz. La sua nuova opera racconta in prima persona la vita sciagurata di Paolino a cominciare dal terribile giorno dell'esame di maturità, quando il protagonista scopre che la ratifica scolastica di «maturo», porta con sé una presa di coscienza troppo dura per un adolescente: «Era il mio primo giorno di maturità e la cosa non mi stava piacendo affatto... sembrava consistere...nell'essere abbandonato da questo e da quello». Paolino lo potremmo definire un giovane costituzionalmente inadeguato alla vita: è troppo basso per essere accettato al servizio militare, è troppo piccolo per essere amato dalla sua compagna di scuola, è troppo ingombrante per i suoi genitori, è troppo raffinato per poter essere capito dai professori. All'esame di maturità vorrebbe infatti parlare dello scrittore ceco Bohumil Hrabal invece che di scrittori italiani, che lui non ama, come Carducci, D'Annunzio e Pascoli. Ma i professori, che non conoscono lo scrittore contemporaneo, si adombrano e Paolino deve rimediare ai danni parlando di Dino Campana.
Hrabal non è solo lo scrittore preferito da Paolino studente, Hrabal è il nume tutelare che lo accompagna sempre, non è un caso che Paolino/Stramonio somigli tanto ai personaggi dello scrittore ceco e in particolare a quel protagonista io-narrante di Una solitudine troppo rumorosa , reietto e rifiuto di una società che cancella ogni cosa buttando e riciclando. Il personaggio praghese che manovra la grande pressa, che compatta senza sosta libri, riviste, carta e oggetti, è il nobile precursore di Paolino destinato a divenire, anche lui, uno spazzino, un pulitore di strade, un riciclatore. Ma torniamo un attimo indietro nella storia, prima cioè che Paolino entri nel corpo degli operatori ecologici della sua città. Un'epigrafe di Hrabal apre il romanzo: «ma la vita è rimozione di sporcizia», che resta il filo conduttore di una storia basata sulla grande metafora del mondo come incessante produttore di rifiuti. Paolino/Stramonio entra in scena quando, a vicenda già conclusa , è lui stesso, e definitivamente, divenuto un rifiuto della società. E cosa fa un uomo che inadeguato alla vita normale si trova addirittura a essere stato scaricato dalla società civile, che non sa bene se lasciarlo in un ospedale psichiatrico o se mandarlo in galera? Quest'uomo abbassa fin che può il suo livello di comunicazione e comincia a parlare di sé con due piccioni. Ecco come comincia questo romanzo, con un uomo che parla a due piccioni. Ed è un'immagine che può anche far perdonare qualche ingenuità narrativa e quella mancanza di affondo nella sporcizia del mondo che ci saremmo aspettati, ma esistere è, nel romanzo, rimuovere la sporcizia.
Gianpaolo Mazza (gianpaolo.mazza@virgilio.it)
Di gianpaolo.mazza
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