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Recensione Claudia Manuela Turco Recensione a L’età dell’oro e della ruggine
L’età dell’oro e della ruggine di Claudia Manuela Turco (Laboratorio delle Arti – Milano, 2005)
«L’entità drammatica del frammento è abitata in questi versi di Claudia Manuela Turco da una serie di vividi squarci, da un rarefatto, e anzi rastremato, calcolo della brevità, senza artificio né automatico gioco linguistico» (…) «il fluente magma d’onda non è affatto privo di stupori, né tace l’eloquenza che conduce, e il vento non ha limiti ai suoi consecutivi aneliti e trasparenze», così Domenico Cara, in simbiosi sincronica di stile, sintetizza epigrammatico la poetica della Turco.
L’intento espresso in apertura d’opera con la dedica «La voce a chi la cui vita non gli appartiene» è nobilissima lirica catarsi della psiche offesa, prima e più duramente del corpo martoriato dalle torture subite in dissennati ospedali, è l’urlo munchiano disperso nell’horror vacui di un ossimoro deflagrante nella mente, ladro d’infanzie che suggella l’irreparabile delitto di chi doveva curare e ha ferito. Così in Cicatrici magistrali metafore: «Stoccate d’anche e femori impazziti, / dolenti passi accomunano. / Primi passi tardivi / su colonne in rovina. / Cerniere nascondono una seconda pelle».
L’oro e la ruggine sono prismi caleidoscopici della visione turchesca di questo evo martoriato: oro consumistico e ruggine valoriale, infanzie dorate invece tradite, ma soprattutto ribellione alle gabbie d’insensibilità aurea della percezione umana, perfettamente in grado d’ignorare al margine di se stessa l’azione disgregante della ruggine, acido cavalier servente dell’inerte risultante di tutte le cose, la polvere.
La Turco è raro esempio di connubio etico-estetico, etico più nell’accezione ciceroniana di moralis, estetico parimenti nell’eleganza matematica del verso, non inteso in senso metrico bensì in senso essenzialista-strutturalista (sovviene al riguardo un passo dell’Andrea Sperelli dannunziano: «Eleggeva, nell'esercizio dell'arte, gli strumenti difficili, esatti, perfetti, incorruttibili»).
Se è vero, con Einstein, che «La matematica pura è, a modo suo, la poesia delle idee logiche», così per l’autrice friulana è lapalissiano un rapporto inverso: «Trema con la terra la trama del vento; / depone gli umani detriti. / Non di seta gli attriti; / il mai inedito ordito non disseta l’udito», tant’è che il Jacques Roubaud di Matematica, rivendicando la poetica quale branca della matematica applicata, sarebbe per la Turco ideale convitato per succulenti banchetti oulipiani.
Lo spirito di ardente necessità che anima ogni parola di ogni verso spinge ogni lemma del dizionario turchesco ad intingersi in un insieme più ampio, come sorta di monadi lessicali fuse in un’astrazione del lexia barthesiano, unità minima di lettura, che può essere sì ricombinata, ma non scomposta senza venir meno al fattore tempo, elemento irripetibile che cifra i significati dell’autrice come le password entropiche, rendendo ogni espressione poetica “il migliore dei mondi possibili” per quell’istante, evoluzione in un punto.
Ribellione estrema però, evi-luce distante dalla vuota retorica di un estetismo decadente, invece graffio-rifiuto supremo della malattia antropica che disturba le false estetiche del quieto vivere.
La Turco non è conforme allo Zeitgeist del suo tempo, i suoi stilemi potrebbero gemmare sull’albero di un Exeligerismo letterario di nuova fondazione o di un visionario Serismo (dal greco Sér, baco da seta), in cui il poeta-baco setaccia gli antitetici mondi razionali e irrazionali sublimandone versi come quanti di luce dalla duplice natura corpuscolare e ondulatoria.
Nella dualità di un’opera che segnerà i tempi, l’autrice si rivolge saggiamente ad ogni intelletto, confidando nella variabilità di una comprensione che non dimora necessariamente tra re o reggenti: «Parlo al cuore-lattuga dei poeti / anche ai poeti che non vestono il concetto di parola», e sa beffare il suo immenso dolore esistenziale che la suggestiona all’interrogativo «E se l’eternità / non fosse altro che / inarrestabile paralisi?», con la destrezza di un Arsenio Lupin che inganna il quarto cavaliere dell’Apocalisse: «Mi nascondo in una nicchia silente / parentesi-conca di ventre materno ) » (sic!).
Le liriche di Claudia Manuela Turco racchiudono le 58 sfaccettature del celeberrimo taglio gemmologico Ideal Cut di Tolkowsky, equilibrio tra proporzioni, angoli e percentuali che genera nell’osservatore un abbaglio di luce al 96% di purezza, sintesi aurea nel diamante tra i diamanti, di brillantezza, fuoco e scintillìo.
A noi il piacere di scoprirle.
Marco Baiotto
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