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Recensione Elio Vittorini Conversazione in Sicilia
Considerato a ragione una delle migliori opere di Vittorini e del panorama letterario italiano novecentesco, e soprattutto tra i più coraggiosi poiché pubblicato in piena era fascista (nel 1941, scritto però nel 1937), siamo di fronte ad un testo semplice, scorrevole, trascinante e compromettente al tempo stesso. Compromettente poiché l’autore rende esplicita, senza timore alcuno, la sua svolta operaista e la sua lotta intellettuale per salvare il <>. Il mondo offeso dalla politica fascista, dalla guerra di Spagna, dalle ingiustizie verso i deboli. Il personaggio centrale è Silvestro, tipografo-linotypista che vive in Alta Italia. Ricevuta una lettera dal padre ferroviere che lo invita ad andare a fare visita, dopo quindici anni, alla madre in Sicilia per il suo onomastico, l’otto dicembre, (sua madre si chiama simbolicamente Concezione) decide così di ritornare nella sua terra d’infanzia tra << i fichi d’india e lo zolfo, nelle montagne>>. Intraprende così un lungo viaggio in treno che gli permetterà di incontrare personaggi dai più svariati e simbolici nomi e comportamenti, <> e che gli consentirà inoltre di capire che <>. La parte più alta del romanzo è l’incontro tra Silvestro e la madre che imbocca immediatamente la strada dei ricordi legati alla sua infanzia, con un tono lirico e con un dialogo immediato di botta, risposta e ripetizioni che imprimono in modo indelebile nella mente del lettore i motivi che legano Silvestro a quella sua terra che ha significato di mondo. Conversazione in Sicilia si può quindi definire come una sorta di grande poema lirico con un taglio narrativo, con unsusseguirsi di immagini e situazioni simboliche che diventano uno specchio su cui si rifrange la desolata condizione umana e che nel finale preannuncia, con la sua atmosfera allucinata, la tragedia verso la quale il mondo si sta avviando.
Gianpaolo Mazza (gianpaolo.mazza@virgilio.it)
Di gianpaolo.mazza
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