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Recensione Saul Bellow

Saul Bellow

Intervista

interessante intervista a Saul Bellow. articolo di Alessandra Farkas dal CorriereDellaSera del 13Sett

Parla il Nobel per la letteratura: «Siamo reduci da uno dei periodi più ludici della nostra
storia»

«Ci credevamo il Paese dei balocchi»

Saul Bellow: «Spero che la catastrofe spinga la gente a interessarsi a cose più serie»

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
NEW YORK - «Credo che gli americani debbano iniziare a pensare più seriamente alla propria
posizione e al proprio ruolo nel mondo. Gli Stati Uniti sono un enorme Paese dei balocchi abitato da
bambini viziati che si illudono di poter continuare a giocare per sempre. Più del terrorismo, il vero
pericolo per la nostra società e democrazia, oggi, è rappresentato da questa apatia e qualunquismo
generalizzati».
Provocatorio e anticonformista come sempre, lo scrittore e premio Nobel per la letteratura Saul
Bellow dà al Corriere la sua interpretazione dei tragici attentati terroristici di
martedì.
«La superpotenza è reduce da uno dei periodi più ludici ed economicamente
prosperi della sua storia; ostaggio di un materialismo senza precedenti.
Quest'orgia consumistica l'ha portata a focalizzare tutte le energie
sull'acquisizione di beni di consumo, disinteressandosi della condizione e
dei problemi reali del Paese. L'americano oggi vive per comperare, usare e
gettare via perché questo è l'obbiettivo esistenziale fissato per lui dalla
società. Ma una civiltà non può crescere e prosperare su fondamenta del
genere».
Sta dicendo che l'America è indirettamente responsabile della
catastrofe che l'ha colpita?
«Non voglio puntare il dito. Tuttavia ritengo che l'evoluzione storica della
nostra nazione abbia fatto sì che una minoranza davvero esigua si interessi
di problemi reali piuttosto che di quisquilie. In questo Paese dei Balocchi
non c'è posto per sogni irrealizzabili. La libertà di movimento è illimitata e
basta pigiare un bottone per realizzare le magie più strabilianti. Ciò ha
creato nella gente un senso illusorio di immortalità e privilegio,
distorcendone contemporaneamente le priorità».
Non siamo comunque di fronte alla perdita dell'innocenza
dell'America?
«Lo dubito. Mentre la tragedia si srotolava in diretta tv, i mezzi-busti
continuavano a interrompersi, chiedendo scusa ai telespettatori per aver
annullato la cronaca delle partite. "Debbono essere inondati di proteste dai
fan di baseball", mi sono detto. Molta gente era infuriata perché le partite
erano state annullate e non per la brutalità di quanto stava accadendo. Si
rende conto?».
Pensa che questa leggerezza abbia contribuito a un abbassamento della
guardia da parte dei politici americani?
«Spero solo che il tono generale nel Paese si faccia più serio, dopo questa
catastrofe, inducendo la gente a interessarsi dei problemi reali. L'America
finge di discutere di politica, cultura e temi sociali, ma in realtà non fa altro
che riempirsi la bocca di parole vuote e senza senso. E' ormai rarissimo, per
me, imbattermi in un dibattito pubblico che mi interessi».
Secondo gli psicologi, l'anima collettiva del Paese oggi è gravemente
ferita.
«Sarà. Ma nell'immaginario collettivo la catastrofe sta prendendo già i
connotati di un colossal hollywoodiano e viene vissuta come un film,
estremo, eccessivo e violento, ma pur sempre irreale. I giornali oggi usano
paralleli tratti dalla cinematografia recente per descrivere gli attentati».
E il parallelo con Pearl Harbor?
«Debole. A quei tempi l'America era reduce dalla Grande Depressione e i
cittadini erano ben più seri e consapevoli dei fatti della vita e della res
publica ».
Quale lezione politica si può trarre da quanto è accaduto?
«Una delle lezioni che ci vengono dagli anni Venti e Trenta è che i fanatici
sono in grado di salire al potere e controllare una nazione come hanno fatto
in Germania, dove la sofferenza era tale, dopo la prima guerra mondiale, da
spingere la gente alla vendetta. Per esplorare i meandri della psiche
terrorista ci sono tantissimi psicologi, anche se ben pochi con risposte
esaurienti».
Com'è potuto accadere?
«Nessuno lo sa, visto che gli esperti ci avevano messo in guardia da tempo.
Ma purtroppo chi può dirci esattamente chi è stato e perché l'ha fatto non
viene consultato dal clan al potere. Che va a giocare a golf invece di
preoccuparsi del mestiere "sporco" della politica».
L'America sta forse pagando il prezzo del proprio isolazionismo?
«Non credo che la colpa sia dell'isolazionismo, perché il business
americano nell'era della globalizzazione è una piovra con tentacoli ovunque
ed è tutto fuorché isolazionista. L'odio anti-americano nel mondo è
aumentato in proporzione all'immagine dello yankee riccone e privilegiato
che guida auto da corsa fregandosene di tutto e tutti. Anche l'italiano, il
francese e il norvegese sono detestati per lo stesso motivo. Ma loro non
sono la prima potenza militare del pianeta».

Alessandra Farkas

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