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Recensione Nick Hornby Intervista
di Robert McCrum
«Repubblica», 1 giugno 2001, p. 37
In Italia arriverà in settembre, da Guanda, con il titolo Come diventare buoni. Parliamo del nuovo romanzo di Nick Hornby, How to be god, che - appena uscito a Londra - è già diventato un caso: file di lettori davanti alle librerie, il sito su Internet intasato. Classe 1957, prima di dedicarsi alla scrittura, Norby faceva l'insegnante. Il suo romanzo d'esordio, Febbre a 90, dedicato all'ossessione del calcio, divenne a sorpresa un bestseller. Eguale successo per i lavori successivi Alta fedeltà e Un ragazzo.
Perché questo titolo, Come diventare buoni?
"Una volta Alain de Botton ha detto che il "come" all'inizio del titolo del suo libro Come Proust può cambiarvi la vita, gli aveva fatto raddoppiare le vendite. Il mio titolo è ironico. Tutti siamo in uno stato di perenne confusione morale".
È frutto di un momento di ispirazione?
"Di un po' di tutto. Forse ho iniziato proprio dal titolo. La conversione spirituale di David, il marito, deriva dalle esperienze accumulate in questi ultimi anni con mio figlio Danny, affetto da autismo. Sono stato letteralmente bombardato da offerte di aiuto di ogni tipo - dai guaritori agli omeopati - incluse lettere in cui mi veniva consigliato di infilare la testa di mio figlio in un secchio insieme ad un cavolo, guarigione assicurata".
La voce narrante del suo romanzo è una donna, la dottoressa Katie Carr. È stato difficile raccontare al femminile?
"Odio questo tipo di domanda, perché comunque tu risponda, sbagli. Se dici che è stato difficile commenteranno "Si vede eccome!", se rispondi il contrario diranno che forse era meglio se ti impegnavi un po' di più. Comunque non mi è riuscito particolarmente difficile. Sono giunto alla conclusione che la profonda differenza che dovrebbe esistere tra uomo e donna è solo un mito. Oggi esiste tutta quanta un'industria deputata a spiegarci che siamo incompatibili e che non ci capiamo, ma personalmente credo di non aver quasi mai mancato di comprendere una donna solo per il fatto che era una donna. Mi è successo un sacco di volte di non riuscire a capire delle persone, ma perché avevano un carattere difficile, la distinzione in base al sesso mi sembra una falsa pista".
Il romanzo contiene alcune scene di sesso viste con occhio femminile.
"Già, per quelle qualche difficoltà l’ho avuta (ride). Anche qui devo dire però che negli ultimi 20 anni ho passato una quantità impressionante di tempo a parlare di sesso con le mie partner o le mie amiche".
Il fatto che Katie dica ad un certo punto: "Chi non vorrebbe poter ricominciare da capo?" mi fa pensare che il suo sia un romanzo sul sogno dei quarantenni di ripartire da zero. E' così?
"Katie si riferisce al desiderio che hai da bambino di avere un bel foglio pulito, dopo aver scarabocchiato tutti i pezzi di carta a disposizione".
Dice anche di essere davvero nauseata dal liberalismo. Un altro grande tema. E' stato difficile conciliare temi così importanti in un romanzo ad ambientazione familiare?
"La mia intenzione è proprio di descrivere come le grandi idee entrino a far parte della vita quotidiana".
Come tutte le sue opere precedenti, anche questo romanzo è quasi tutto al presente con abbondanza di riferimenti all'attualità. Non può essere in qualche modo limitante?
"Non giudico affatto un problema i riferimenti all'attualità. Sono rimasto recentemente colpito dal fatto che molti scrittori li evitino pensando ai posteri, secondo me un ragionamento un po' insolente. Io voglio che mi si legga adesso e che i miei libri significhino qualcosa per il pubblico ora".
Con Febbre a 90' è partito da un insolito memoriale per approdare poi al romanzo. Perché ha abbandonato lo stile autobiografico?
"Non avevo fatto molto, quando ho scritto Febbre a 90'. Continuare su quella falsariga sarebbe stato insopportabilmente sfacciato".
Il successo di Febbre a 90' l'ha colta di sorpresa?
"Non pensavo che avrebbe venduto più della maggior parte delle opere prime. So per esperienza che se i tifosi sono disposti a spendere 25 sterline per una coperta non è detto che non ne spendano 14 per un libro. Quasi nessun editore se ne era reso conto. Febbre a 90' è stato rifiutato da molti con l'idea che i libri sul calcio non vendono".
Lei scrive per se stesso?
"Credo che affermare di scrivere per se stessi sia disonesto. Se avessi scritto per me stesso mi sarei fermato a 1.500 parole. In un libro ci sono notizie, aneddoti divertenti, secondo me chiaramente pensati per un pubblico".
Qual è il suo pubblico?
"Ultimamente non lo so più. Quando ho scritto Febbre a 90' lo identificavo con un ragazzo nato più o meno il mio stesso giorno, tifoso della stessa squadra di calcio".
Scrivere è stato sempre il suo sogno?
"Decisamente, dentro di me ho sempre saputo che sarei diventato uno scrittore, anche quando non scrivevo ancora. Forse pensavo che un giorno qualcuno mi avrebbe telefonato dicendo che gli serviva un romanziere. Quando mi sono reso conto che non sarebbe stato così ho pensato che forse era il caso di mettersi a fare qualcosa. Non avevo idea del tipo di scrittore che volevo diventare. Mi ci è voluto molto tempo per individuare il genere che mi era più congeniale. All'inizio pensavo di non potermi dedicare alla prosa perché dopo l'università avevo fato un tentativo sfociato in un saggio veramente brutto e pesante".
Che cosa leggeva quand'era all'Università?
"Letteratura inglese. Ho scritto, o meglio ho tentato di scrivere, sceneggiature per il cinema e la radio, mi piacevano i dialoghi, penso che siano la cosa più facile da scrivere".
Che cosa leggeva da bambino?
"Ah, tantissimi fumetti e poi qualunque cosa. Se un libro faceva parte di una serie, leggevo tutti gli altri, come William e Jennings. A scuola avevo un'insegnante di inglese molto paziente che mi prendeva da parte e mi dava Evelyn Waugh e Lucky Jim. Tra gli autori preferivo Anne Tyler e Lorrie Moore. Scoprire le loro opere verso la fine degli anni '80 è stato importantissimo per me. L'idea di poter scrivere in modo semplice, intelligente, con umorismo e sentimento è stata una rivelazione dopo essermi fatto strada tra tanti libri inglesi lontani da queste caratteristiche. Alcuni aspetti della letteratura americana hanno significato molto per me".
Qual è secondo lei lo scopo del romanzo?
"In primo luogo e soprattutto il romanzo deve divertire, è intrattenimento. Ma quando parlo di intrattenimento mi riferisco a qualcosa che in qualche modo implichi un coinvolgimento emotivo. Far ridere la gente è considerato in un certo senso poco importante. Per me non è così".
Da autore comico non pensa di poter essere preso poco sul serio, ghettizzato, come spesso avviene per questa categoria?
"Molte opere comiche meritano di essere relegate in un ghetto, troppi personaggi sono macchiette. Io voglio che i miei personaggi siano reali e voglio anche commuovere il lettore nella seconda parte del libro, quando la trama ha preso slancio. I miei romanzi stanno diventando più seri, o meglio cerco di andare all'estremo nei due sensi, mi piacerebbe che fossero più divertenti e più tristi allo stesso tempo".
A che cosa sta lavorando?
"Scriverò una sceneggiatura insieme ad Emma Thompson".
All'inizio ha detto che suo figlio è autistico. In qualche modo sembra che lei non riesca a sfuggire alle problematiche legate ai disabili. Potrebbe fare di suo figlio il personaggio di un suo libro?
"Danny? Mi ci vorrebbe moltissimo tempo per elaborare tutti i sentimenti che provo nei suoi confronti. Sì, potrei scrivere su di lui, forse non un romanzo, comunque sarebbe molto difficile".
E doloroso.
"Ormai ci siamo abituati, ma abbiamo sofferto terribilmente".
In un'intervista ha affermato che le difficoltà affrontate con Danny hanno contribuito a far naufragare il suo matrimonio.
"Sì l'impatto è stato duro, il divorzio una scelta quasi obbligata".
Forse in questo momento è ancora troppo coinvolto.
"Ho letto di persone passate attraverso esperienze traumatiche senza assimilarle, con risultati poco piacevoli. Per questo penso che ci vorrà del tempo prima che io possa affrontare questo genere di argomento".
In un certo senso nei suoi libri lei ha il ruolo dell'uomo qualunque di fine millennio afflitto da turbe emotive e comportamentali. Ci si riconosce?
"Completamente. Un numero enorme di persone ha problemi, per un verso o per l'altro, la gente si sente persa e alienata, gira a vuoto, intrappolata nel lavoro sbagliato, nella relazione sbagliata. È una sensazione così diffusa che forse non è corretto parlare di problemi comportamentali, forse sentirsi così significa solo essere umani".
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