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Recensione Francesco Gesualdi Un intervento
di Francesco Gesualdi
Mi soffermerò su aspetti concreti, cosa fare, con quali strumenti, verso dove andare. Prima di affrontare questo tema consentitemi di riprendere alcuni temi. Il primo punto è che il mondo non è mai stato così ricco e nello stesso tempo non è mai stato così povero. Susan George diceva che il 20% più ricco si appropria dell’82% della ricchezza mondiale, mentre al 20% più povero va l’1,3%. Tre miliardari nel mondo hanno un patrimonio equivalente a quanto riescono a produrre ogni anno i 48 paesi più poveri del mondo. Sono dati scandalosi che ci dovrebbero far riflettere, perché accanto a questo un miliardo e mezzo di persone vive in una condizione di povertà assoluta. La BM definisce poveri assoluti coloro che vivono con meno di un dollaro al giorno. I poveri assoluti sono persone che non hanno un tetto o sono costrette ad abitare nelle baraccopoli, quindi alloggi fatti di cartone e di mezzi di fortuna trovati rovistando nelle discariche. Vuol dire non avere più dello straccio che si ha addosso, non avere mai la possibilità di mandare i propri figli a scuola, non avere possibilità di varcare le porte di un ospedale per potersi curare, non avere la possibilità di avere un lavoro, non sapere al mattino se si avrà mangiato prima di sera. Alcune statistiche dicono addirittura che questa cifra balza a due miliardi e a tre miliardi se facciamo passare questo reddito da un dollaro a un dollaro e mezzo.
Questo sistema tenta di farci credere che la povertà è una fatalità, sono delle grosse bugie perché sulla povertà si sa tutto. Sappiamo attraverso quali meccanismi si genera l’impoverimento e si condanna questa moltitudine di persone a vivere così. E’ uno di quei meccanismi che condanna le persone a vivere in questo modo, è il mercato. Dobbiamo avere il coraggio di cominciare a denunciare seriamente i meccanismi di fondo. Il mercato divide la gente in due: da una parte gli utili e dall’altra gli inutili. Gli utili sono quelli che hanno danari in tasca, che consentono a questo sistema di continuare a girare. Guardiamoci allo specchio ed abbiamo già scoperto chi sono gli utili, sono quelli che possono consumare, sono quelli che entrano a far parte del mercato. Il sistema ha interesse a fare in modo che questa fascia di persone guadagni sempre di più. E’ questa una delle ragioni per le quali la ricchezza si concentra sempre di più nelle mani di pochi. Al contrario tutti coloro che pur riuscendo a fare una vita dignitosa, magari perché riescono a vivere di autosussistenza, il sistema non si vergogna a tirargli via anche le poche ricchezze su cui contavano. Ed ecco che nascono i poveri, perché si tolgono loro le terre, le foreste, i mari, i fiumi. Se vogliamo tentare di tracciare in tre grandi linee quali sono i meccanismi che fanno sì che il mondo diventi sempre più squilibrato, dobbiamo dire che il primo è lo sfruttamento commerciale che significa che il commercio è tutto pensato per arricchire gli intermediari, le multinazionali commerciali alle spalle dei piccoli contadini ai quali vengono pagati prezzi miseri che li costringono a vivere di stenti. Il secondo meccanismo è lo sfruttamento del lavoro. Quando noi ci soffermiamo sulla notizia che il 20% della popolazione mondiale si appropria dell’82% della ricchezza non pensiamo che ci avvantaggiamo solo di ciò che produciamo. Riusciamo a mangiarci tutto ciò che viene prodotto nel mondo, perché sfruttiamo il lavoro del Sud del mondo. Entrate in un supermercato, guardate quanto costano le banane che vengono da 5000 chilometri di distanza: costano meno delle mele che vengono dal Trentino, ma chiedetevi perché succede questo. Se andate a guardare come si lavora nelle piantagioni di banane, di ananas vedrete che ci sono salari che fanno rabbrividire. Abbiamo fatto una ricerca nelle piantagioni di ananas in Kenya, abbiamo scoperto che gli avventizi, un esercito di 2500 persone a fine giornata ha guadagnato quanto basta per comprare tre chili di farina di mais. Lo stesso vale per i prodotti industriali, perché siamo nell’epoca della globalizzazione, scarpe, vestiti, giocattoli, microelettronica. Troviamo delle condizioni scandalose dietro a questi prodotti: non solo il lavoro minorile, ma uno sfruttamento del lavoro adulto che è spaventoso e che alimenta il lavoro minorile. Smettiamo di versare lacrime di coccodrillo rispetto al lavoro minorile: fino a quando non risolveremo il problema dello sfruttamento degli adulti non risolveremo questa piaga. Viviamo in un mondo che da un punto di vista tecnologico ha fatto miracoli, ma sta ricomparendo la schiavitù. Nel mondo esistono 20 milioni di schiavi e non si trovano solo nei regni dei pascià, ma anche in casa nostra, sui marciapiedi, nelle case ove si scoprono che domestici delle Filippine, Tunisia e Marocco sono tenuti nelle case dei signori in condizioni di schiavitù. Ultimo meccanismo è il debito che è subdolo, perché riesce a strappare le ricchezze del Sud senza avere bisogno degli eserciti. L’anno scorso è stato calcolato che il Sud del mondo ha ripagato per restituzione del debito 480 milioni di dollari. Questo significa che i paesi poveri tutti gli anni vendono i loro prodotti senza ricevere indietro niente. Questa è una tassazione spaventosa che trasferisce gratuitamente ricchezza dal Sud. Sappiamo che il debito è stato creato per permettere alle banche di potersi arricchire, per consentire ai governanti di rafforzare la loro posizione di potere, per potersi armare, ma oggi sono i poveri che devono pagare il debito. Per obbligare i governi a pagarlo non si stenta a imporre delle misure draconiane, perché lo sapete bene quando ci si trova davanti a un debitore i consigli che si danno sono: lavora di più, vendi più che puoi e consuma meno che puoi così da avere un grande avanzo da potere restituire il debito. La logica del FMI è questa, non c’è niente di complicato dietro le politiche che propongono. La strada che viene indicata è orientare la loro economia verso l’esportazione.
La qualità della vita nel Sud del mondo peggiora ogni giorno e a noi si pone il problema di cosa fare di fronte a tutto questo. Ciò che vi dirò si può dividere in due: da una parte gli strumenti che abbiamo a disposizione e dall’altra per quali obbiettivi lottare. Ricordiamoci che quando pensiamo agli strumenti abbiamo l’imbarazzo della scelta così che alla fine non sappiamo quale fare. Il problema è riuscire a poter fare tutto quello che potremmo fare. Quando io penso agli strumenti che abbiamo li divido in due: azioni di resistenza, sono tutte quelle che puntano a creare un danno al sistema e togliergli il consenso, sapendo che il sistema si regge sul consenso. L’altro tipo di azioni sono quelle che io chiamo di desistenza, vale a dire che ci sono momenti in cui ci rendiamo conto che diamo un servizio molto più grande se abbiamo la capacità di scendere dal treno e cominciare a mettere in pratica ora e subito delle iniziative che vanno in una direzione contraria rispetto a quelle dominanti. Fra le azioni di resistenza abbiamo la possibilità di poterle dividere in quelle di carattere personale e in quelle di carattere collettivo. Fra le personali la prima è il cosiddetto consumo critico. Noi abbiamo capito che il consumo vissuto in maniera acritica diventa uno strumento di sostegno alle imprese, comprese quelle che si comportano malissimo, ma che se abbiamo la capacità di utilizzare il consumo in maniera critica riusciamo a orientare il comportamento delle imprese, perché lanciamo di continuo il messaggio delle azioni che approviamo e quelle che condanniamo. Ricordatevi che le imprese sono sensibilissime a questo tipo di messaggi che arrivano dai consumatori e loro sanno molto bene che la loro sopravvivenza dipende dalle scelte che fanno i consumatori. Ogni volta che entriamo in un supermercato diciamoci che siamo persone molto potenti, noi abbiamo la possibilità di mettere in ginocchio anche le multinazionali più potenti. Però bisogna crederci e dopo averci creduto bisogna fare i passi necessari. Dal punto di vista collettivo le azioni che abbiamo a disposizione sono molto più vaste e vanno dal boicottaggio alle manifestazioni. Poi abbiamo le scelte di desistenza, vale a dire tentare di attuare delle scelte che sono ispirate a principi diversi e ancora una volta possiamo dividerle in azioni personali e collettive. Fra le azioni personali c’è un nuovo stile di vita che si concretizza anche con la finanza etica con la Banca Etica costituita di recente e l’esperienza delle reti di economia locale.
Quando si tratta del per cosa lottare io immagino un percorso di tre tappe: azioni di urgenza, un tentativo di tamponare il danno che questo sistema fa. Dobbiamo fare così le campagne nei confronti delle imprese, fare in modo che i salari scandalosi riescano ad essere innalzati. Quindi chiedere alle imprese che cambino il loro rapporto nei confronti dei lavoratori, fare in modo che siano garantiti i loro diritti. Sono campagne che dobbiamo riuscire a fare, a conclusione delle quali ci rendiamo conto che cambiamo l’esistenza di migliaia di persone. Noi abbiamo organizzato quest’anno la campagna nei confronti della Del Monte che ha capitolato nel giro di due mesi: una vittoria insperata. Dal Kenya arrivano informazioni che molte cose sono già cambiate, i lavoratori vedono il cambiamento quando i consumatori si organizzano a loro sostegno. Altra azione di impegno: tentare di far in modo che gran parte del debito venga annullata immediatamente, ed è fondamentale, perché dà subito una prospettiva diversa ai poveri del Sud del mondo. Altra azione di emergenza: fare in modo che la cooperazione si accresca come misura e soprattutto che cambi anche qualità, che diventi una cooperazione a servizio degli ultimi.
Sapendo bene che questo non basta, bisogna tentare di cambiare le regole anche se solo in maniera parziale. Penso alle contestazioni che possiamo fare subito alle grandi istituzioni e mi viene in mente la richiesta che possiamo fare della Tobin tax per tentare di ostacolare la speculazione sulle monete. Abbiamo visto i danni che fanno quando sono lasciati in libertà. Tentare di cambiare alcune regole di fondo rispetto alle condizioni che vengono poste per il pagamento del debito. Dobbiamo pretendere che le quote che devono essere restituite al Nord vengano invece utilizzate per risolvere i problemi dei poveri e per risolvere i problemi ambientali. Dobbiamo cambiare le regole all’interno dell’OMC. Sottovalutiamo sempre la necessità di fare in modo che la produzione e i prezzi siano regolamentati, perché quando sono lasciati in libertà fluttuano di continuo e arrivano a dei livelli che costringono i contadini a dover vivere al di sotto dei costi di produzione; per loro è il fallimento. Un esempio è la banana di cui esiste una sovrapproduzione, perché le multinazionali avevano fatto certi calcoli che poi non si sono avverati. In Centro America nelle piantagioni di banane si stanno perdendo tutti i diritti che erano stati conquistati, i salari stanno tornando indietro e si licenzia la sera per riprendere le persone la mattina. La produzione di banane si fa così: sta scappando sempre più verso l’Ecuador, un paese dove la licenza di sfruttare è più alta che altrove. Le regole del mercato impongono di cercare il prodotto là dove costa meno.
Terzo importante aspetto: rivedere i trattati sull’agricoltura: stiamo costringendo i paesi del Sud ad aprirsi alle derrate agricole che vengono dal Nord che spesso sono sovvenzionati e fanno una concorrenza sleale ai prodotti locali e mandano i contadini in rovina. Dobbiamo riscoprire un certo tipo di protezionismo a favore dei piccoli. Dobbiamo anche essere capaci di pensare in grande e ripensare il nostro modello di sviluppo come qualcosa che ci riguarda da vicino. La terra contiene risorse a sufficienza per consentire a tutti di vivere dignitosamente, ma non contiene risorse a sufficienza per far vivere tutti nella nostra opulenza. Se volessimo garantire a tutti gli abitanti del mondo il nostro tenore di vita ci vorrebbero cinque pianeti. Bisogna riequilibrare l’uso delle risorse e ciò significa un nuovo governo mondiale che garantisce a tutti i popoli di avere le risorse. Contemporaneamente dobbiamo dire che non è vero che dobbiamo creare le premesse per espandere il commercio internazionale, ma, se partiamo dalla prospettiva di voler avere un avvenire che consenta a tutti di vivere dignitosamente nel rispetto delle generazioni future, non dobbiamo perseguire l’espansione degli scambi a livello planetario, ma rivalutare l’economia locale e fare in modo che le merci viaggino il meno possibile.
Non possiamo offrire una possibilità di miglioramento di vita a chi non ha il necessario se noi non accettiamo di rivedere drasticamente il nostro consumo di risorse. Dobbiamo immaginare il mondo come se fosse popolato dai grassoni di 120 chili e dai magri tipo campi di sterminio dall’altra parte. I magri non potranno recuperare peso se i grassi non accettano di sottoporsi ad una drastica cura dimagrante. La parola sobrietà ci mette paura, perché si affacciano i fantasmi delle privazioni, ma dobbiamo liberarci di questi timori e capire che se abbiamo la capacità di introdurre una serie di rivoluzioni culturali, avremo la possibilità di vivere bene nonostante consumiamo di meno. Abbiamo la possibilità di risolvere due grossi problemi: la piena occupazione e la possibilità di garantire a tutti di vivere dignitosamente. In Italia il 12% della popolazione vive in una condizione di povertà, sei milioni di italiani hanno un reddito inferiore alla media italiana. E’ una grande sfida, perché noi viviamo in un sistema dove ci viene detto che questi problemi possono essere risolti purché cresca la produzione. Bisogna allora garantire di più pur disponendo di meno. Dobbiamo imparare a riprogrammare: non esiste famiglia al mondo che mette il portafoglio nel mezzo e dica che chi prima arriva meglio alloggia indipendentemente dall’uso che ne fa. Dobbiamo creare un sistema ove si dia la priorità alla soddisfazione dei bisogni fondamentali per tutti. E questa deve essere un diritto e deve essere la comunità stesa che se ne fa carico. Io mi rendo conto di sognare ad occhi aperti, ma se non abbiamo la capacità di sognare non abbiamo la possibilità di salvare il nostro pianeta moriremo tutti.
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