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I ragazzi della via Pal: l’epico-elegiaco romanzo di Ferenc Molnàr

Pubblicato il 11-01-2008


Ferenc Molnàr, romanziere e commediografo ebreo-ungherese, nasceva 130 anni addietro (il 12 gennaio 1878) a Budapest. E’ molto conosciuto oltre che per le sue frizzanti commedie, soprattutto per il romanzo “I ragazzi della via Pal” (scritto nel 1907), un vero classico per l’infanzia che ha avuto un posto di privilegio nella biblioteca di casa di numerose generazioni e che in Italia, da quando è stato tradotto in italiano nel 1929, ha visto numerosissime ristampe (l’ultima, di Einaudi, è del 2007). Giorgio Pressburger, a proposito delle continue riproposte del libro, sempre ben accette al pubblico dei ragazzi, ha parlato di «rivincita dei ragazzi della via Pal».
Il libro racconta la vicenda quasi eroica (che in alcuni brani raggiunge picchi da elegia) di due clan rivali di giovanissimi che, a Budapest nei primi anni del ‘900, sono in lotta per conquistare un magico recinto adatto ai loro giochi. Si fronteggiano «i ragazzi della via Pal» che sono capitanati da Boka (ragazzo serio e riflessivo) e che hanno una truppa con un unico soldato semplice: «il piccolo Nemecsek», timido e malaticcio ma dal cuore impavido, e «i ragazzi delle Camicie Rosse» che hanno come leader Feri Ats, un ragazzone aggressivo e audace. I primi sono soliti giocare alla guerra in uno spazio che dà sulla via Pal, accanto a una stupenda segheria piena di labirinti naturali e cataste di legno, e i secondi vogliono impossessarsi di questo terreno di gioco. Ed è lotta all’ultimo sangue. Gli eroi adolescenti, con le loro anime da fanciulli, imparano a conoscere la bontà e la cattiveria, il coraggio e lo scoramento, la forza e la debolezza, l’amicizia e l’amicizia tradita, l’umiliazione e il riscatto, l’onore e il disonore ma anche la morte (il gioco alla guerra non è poi così del tutto incruento!). Essi mostrano le loro primitive crudeltà, gli infantili codici d’onore che si sono costruiti e a cui sono fedeli (molto diversi da quelli degli adulti), e tanti innumerevoli atti d’ingenuo tremendo coraggio. E sotto la scorza di cinismo e sarcasmo, s’indovina la tenera compassione e l’empatia dell’autore, che aveva conosciuto la persecuzione razziale e da sempre era avverso alle ingiustizie sociali e alle prepotenze del potere. Ma alla fine tutto è stato inutile, perché il quartiere generale della Società, difeso col sudore e col sangue, viene spazzato via dalle ruspe di una demolizione.
In una sua recensione al libro, a proposito dell’universalità del romanzo, Rossana Massa ha scritto: «Anch’io feci parte d’una ideale “Società dello stucco”, identificandomi con la fragilità ed il coraggio del biondino, Ernesto Nemecsek, che paga con la vita la sua voglia di riscatto e d’accettazione sociale. Minuscolo, finché non merita la maiuscola registrazione del suo nome… Ragazzi educati al gesto eroico pur non avendone tempra e soprattutto fisico, nell’inculcare l’anelito alla lotta, nel dare della sopravvivenza l’idea d’immane sforzo bellico perenne, di cui la morte non è che un’inezia per il riconoscimento del proprio valore, gettare il cuore oltre l’ostacolo.»
E il mondo dei ragazzi della via Pal, rappresentato con finezza psicologica e poeticità di stile da Molnàr, non è altro che la metafora della difficile realtà degli adulti e della loro lotta per la vita: «…vita, talvolta lieta e talvolta triste, la quale ci costringe a lottare sempre, perché non siamo per essa, che degli umili servi».

Di Silvia Iannello

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