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Biografia Sergio Vacchi
Sergio Vacchi
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Sergio Vacchi nasce a Castenaso di Bologna il primo aprile del 1925, da Maria Luisa Barchetti (Marano di Castenaso, 8 giugno 1898 - Bologna, 9 giugno 1965) e Giuseppe Vacchi (Castenaso, 8 marzo 1899 - Bologna, 24 ottobre 1981). Il padre, di ascendenza contadina, si dedica negli anni del dopoguerra agli scavi delle cave nelle zone limitrofe al capoluogo emiliano, raggiungendo immediata fortuna grazie all'investimento della dote della moglie, figlia di proprietari terrieri presso Bologna. Primogenito di tre figli, Giorgio il secondogenito e Luciana la minore, Sergio cresce nella casa di famiglia a Castenaso, circondato dall'affetto domestico e dalle premure della tata Giorgina. Dopo una prima formazione in campagna, nel 1931, a sei anni, viene mandato a vivere dalla nubile zia Angiolina a Bologna per frequentare la scuola elementare presso il Collegio San Luigi, gestito dai Padri Barnabiti. Nello stesso istituto frequenta le scuole medie e il liceo classico. Un gesto di sicuro affetto da parte dei genitori, il voler dare una buona e solida formazione classica, che non fu però mai perdonato dal figlio che per questo motivo si sentì mandato via di casa, lui solo, lui ancora così fragile e bisognoso delle premure materne. Nell'Istituto Sergio incontra molti coetanei, alcuni dei quali diventano anche buoni amici che però non frequenta spesso a causa del suo riserbo e della sua distanza dalla vita reale. Predilige fin dall'adolescenza il mondo della solitudine, dell'alienazione e della letteratura; in realtà nonostante questo isolamento, proprio quel Collegio dei Barnabiti, luogo così poco amato dal giovane Sergio, diviene un gran maestro di vita, il suo marchio entra nel suo animo ritroso-ricettivo e lo plasma: qui infatti Sergio impara a non «tenere mai il passo» e questo fu un ritmo che non dimenticò mai, un ritmo che lo distingue e lo accompagna tuttora. Bambino solitario e adolescente irrequieto, passa le sue giornate in casa immerso nella lettura: molti dei romanzi scoperti formano in lui uno spirito romantico e disincantato, divengono materiale e spunto per la sua futura arte. In questi anni Vacchi si avvicina alla cultura ed in particolare alla letteratura (legge Eliot, Kafka, Dostoevskij, Proust, Pirandello, Joyce, Beckett e molti altri), acquista numerosi libri da solo nei mercatini e nelle vecchie librerie seguendo le sue personali inclinazioni, non ama uscire con i coetanei, preferisce la sua stanza nella casa dei genitori con i quali torna a vivere nel 1936 a seguito del loro trasferimento da Castenaso a Bologna; qui, nella casa di famiglia, cerca e trova il rifugio, il luogo dei sogni e della meditazione che lo congiungono in un intimo dialogo con se stesso; non rinuncia però durante le vacanze estive a dieci chilometri di pedalate al giorno da Castenaso a Varignana (in realtà venti, dieci di andata e dieci di ritorno) per recarsi a corteggiare la sua prima «amata», Renata Grosso, con la quale si fidanza dal 1939 al 1945. All' età di 19 anni si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza, ma dopo solo due esami sostenuti, Diritto del Lavoro e Diritto Romano, abbandona l'Università per dedicarsi alla sua vera passione: dipingere. Tutto l'amore per la letteratura aveva alimentato quello per la pittura, era stato un tramite, un ponte per congiungersi ulteriormente alla fisicità della materia, della tela, del colore. Si avvicina quindi alla pittura come autodidatta, senza aderire a studi canonici di scuole o accademie d'arte e per qualche tempo frequenta come allievo privato lo studio del pittore Garzia Fioresi che più di ogni altra cosa gli insegna il principio della fedeltà all' espressione pittorica. Nel 1946 prende in affitto uno studio in via Borgonuovo a Bologpa. In questi primi anni viene influenzato dalla realtà artistica bolognese, quella dominata dalle due grandi personalità di Roberto Longhi e Giorgio Morandi. La serie di raffinati quadri di natura morta di Morandi, queste piccole icone atte alla contemplazione, soffocano il giovane pittore di Castenaso che si trova a dover fare i conti, a confrontarsi con simili restrizioni di temi, di soggetti e formati. Il voler fuggire da questi schemi, da queste indagini contemplative sul contenuto metafisico del quotidiano, lo portano fin dall'inizio a lavorare su svariati soggetti e tematiche sempre nuove; lo stesso utilizzo di tele di grandi dimensioni può essere letto come un rifiuto del canonico formato «borghese», quello che tanto piaceva a Morandi. Il suo lavoro iniziale viene anche suggestionato dalla visita ad una mostra a Bologna tenuta da una bambina di circa sei anni: un genio, una rivelazione di cui non ebbe poi più notizie ma che lo scosse e lo spronò profondamente. Fu impressionato dal suo modo disordinato e stravagante di intendere lo spazio, di porre figure ed oggetti all'interno di esso senza alcuna apparente e reale armonia. 1946-1968 In questi suoi inizi Vacchi frequenta saltuariamente la Facoltà di Lettere per assistere alle lezioni di Roberto Longhi, alle quali incontra Francesco Arcangeli, allievo di Longhi. Un giorno, tra la fine del 1946 e i primi del '47, il giovane artista chiede ad Arcangeli di visitare il suo studio, vuole un parere sulle sue prime opere. Due diversi incontri, due fasi di pensiero così discordi, condussero due menti euforiche dal '47 in poi verso un legame, un'amicizia e una stima reciproca che accompagnò la vita di entrambi. Da quel momento Arcangeli seguì ed amò profondamente l'uomo e l'artista che era in Vacchi, fu il suo protettore, il suo promotore, il suo confidente. Il rispetto e la considerazione che entrambi avevano l'uno dell'altro divenne il tramite della complicità che i due amici avevano raggiunto, era il di più che li rendeva così liberi e uniti nella vita come nell' arte. Vacchi espone per la prima volta nel 1949 alla Galleria Antico Martini di Venezia insieme all'amico Sergio Romiti. Il 26 marzo del 1951 viene inaugurata la sua prima personale alla Galleria del Milione di Milano con catalogo a cura di Francesco Arcangeli, Sergio Vacchi alla Galleria del Milione. In occasione di questa mostra avvenne un episodio emblematico dell'atmosfera culturale dei primi anni cinquanta caratterizzati dalle presenze «dominatrici» di Giorgio Morandi e Roberto Longhi, un aneddoto divertente che Sergio Vacchi mi raccontò tempo fa: «Nel 1951 feci una mostra alla Galleria Il Milione di Milano. Ovviamente tra gli invitati all'inaugurazione c'era anche il nome del grande storico Roberto Longhi, ma mai pensavo che avrebbe preso parte alla mia mostra. Ebbene, Longhi venne e ad un certo punto si fermò davanti una natura morta: Natura morta in grigio, 1950; ero intimorito ed imbarazzato da questa figura altera, volevo fare qualcosa, parlargli, cercare di comunicare con il grande storico... Mi avvicinai, mentre il critico stava ancora osservando il quadro, e dissi: "professore questa è una pera". Longhi mi guardò, non disse nulla e andò via. Rimasi veramente sconcertato dal modo in cui mi rivolsi a lui, e soprattutto dal suo sonoro silenzio. Alcuni mesi dopo, trovandomi a Firenze, mi recai con degli amici ad assistere ad una lezione che Longhi stava tenendo all'Università sui Trecentisti senesi. Entrammo a lezione iniziata e il Professore parve non accorgersi di noi. Dopo qualche minuto però si interruppe, guardò nel vuoto e disse: "pera". A quel punto, emozionato e stupefatto, mi alzai e mi inchinai». Vacchi ama raccontare di queste storie, momenti significativi e sintomatici della sua vita di artista. Le sue prime prove sono fortemente segnate da un'influenza postcubista, in particolar modo quella picassiana di Guernica (opera che aveva da poco iniziato a circolare negli anni del dopoguerra), dove la ricerca formale si sposava con l'impegno sociale. La realtà vacchiana, portata all'intervento, non poteva sottrarsi alla partecipazione realistica e narrativa della realtà circostante. Questo avveniva appunto con una personale scomposizione di tipo postcubista del reale, dove gli elementi figurativi venivano portati in primo piano, talmente spinti verso lo spettatore, che sembravano a malapena trattenuti dallo spazio fisico e oggettivo del quadro. Sempre nel 1955 Vacchi prende un nuovo studio, da via Borgonuovo si trasferisce in via San Gervasio. Inoltre nel 1954 e nel 1957 vengono presentate prima da Francesco Arcangeli, poi da Marco Valsecchi, due personali alla Galleria Il Milione di Milano: i cataloghi in mostra a cura dei due critici sono rispettivamente: Dipinti di Sergio Vacchi e Dipinti recenti di Sergio Vacchi. Dal 1952 al 1955, Vacchi si allontana dal vitalismo picassiano per avvicinarsi alla lezione di Cézanne, in particolar modo a quella delle vedute della montagna di Sainte Victoire. Protagonisti dei suoi dipinti diventano boschi e paesaggi della Padania, testimoni della scelta di un discorso intimo e solitario con la natura. Grazie a queste tele, come ad esempio Ponte di legno al Giardino Margherita (1953), l'artista scopre una luminosità nuova, fatta di tagli di luce matericamente densi e colori più squillanti: nei dipinti predominano i verdi e gli azzurri organizzati su tagli orizzontali e verticali. Il grande storico Arcangeli scrisse di questo quadro: «... Bellissimo e moderno: magma vegetale cupo come un'ora di cuore cupamente allegro, antro splendente e temibile, spazio pieno e voraginoso, Cézanne e Klee sommersi entro il vibrare potente d'una nuova entità distinta-indistinta». Ma la ricerca di tematiche sempre nuove e la necessità di una maggiore matericità segnano un altro passaggio nella pittura di Vacchi, un cambiamento che dal naturalismo degli anni 1952-1955 lo avvicina nel 1956 alla poetica dell'lnformale. Questa fase pittorica incentrata su un dipingere violento, immediato ed istintivo, prende consistenza negli anni a cavallo tra 1956 e 1962. I quadri di questo periodo sono quasi senza controllo: figure, spazi, materie, colori, si fondono sulle grandi tele nelle quali il senso dell'organico viene reso con una creatività illimitata. Durante gli anni cinquanta il padre Giuseppe Vacchi inizia a dipingere piccoli quadri a carboncino raffiguranti principalmente ballerine nei locali notturni: viene soprannominato dall'ambiente imprenditoriale del capoluogo emiliano il Toulouse-Lautrec di Bologna. Una chiara dimostrazione di competizione nei confronti del figlio Sergio che proprio in quegli anni iniziava ad attirare partecipazione ed aspettativa nel mondo artistico circostante. Il 20 febbraio 1956 nasce il figlio Matteo. Il 1958 è un anno di espatrio delle opere di Vacchi che vengono esposte sia alla mostra di pittura contemporanea italiana di Copenaghen, che alla Contemporaries Gallery di New York, quest'ultima presentata da Arcangeli nel catalogo Sergio Vacchi. Nello stesso anno è presente alla Biennale di Venezia, come già nel 1956. Il 1959 è un anno cruciale sia per la vita artistica che personale di Vacchi: a questa data risale il suo trasferimento a Roma, una sorta di fuga - come egli stesso dichiara - dall' abbraccio soffocante di Arcangeli, suo protettore fin troppo protettivo. Lontano dalla realtà bolognese, ormai diventata eccessivamente provinciale e priva di stimoli, l'artista viene inserito nel mondo culturale romano dove frequenta Dario Micacchi ed Enrico Crispolti, gli storici che inizialmente si interesseranno del suo percorso critico. Sergio aveva conosciuto Crispolti quando ancora abitava a Bologna; in occasione della Biennale di Venezia del 1956, Crispolti si fermò a Bologna per andarlo a trovare. Il giovane critico aveva ventitré anni, Sergio trentuno; da allora si sono seguiti ed inseguiti in un dialogo tra pittura e critica, verso un connubio e una ricerca di testimonianze sul divenire dell'arte nel momento della sua verità storica. A riprova di quanto la pittura di Vacchi convincesse Crispolti, due anni dopo, con la personale all'Attico, avviene uno scontro tra il giovane critico ed il suo maestro Lionello Venturi: Crispolti, sostenendo il lavoro di Vacchi, contestava in catalogo la linea sostenuta fino ad allora da Venturi. A Roma Sergio dopo un breve periodo in affitto a via De Carolis, in un'abitazione-studio senza mobili e con materassi a terra per dormire, si trasferisce, sempre in affitto, in un appartamento in piazza San Lorenzo in Lucina all'interno del quale ha la possibilità di avere lo studio, e lì rimane fino al 1997. Qui conosce e frequenta fin da subito l'ambiente intellettuale romano, stringe amicizia con Ennio Calabria, Renato Guttuso, Federico Fellini, Mario Missiroli, Piera degli Esposti, Giuliana Calandra, Vittorio De Sica, Marina Malfatti, Goffredo Parise, Paolo Volponi e numerosi altri artisti che gravitano nella capitale, entrando a far parte di quel mondo variegato e pieno di stimoli che lo aveva portato a desiderare il trasferimento da Bologna. È un periodo importante per Sergio Vacchi: c'è molto interesse ed entusiasmo per il suo personalissimo modo di fare arte, viene apprezzato e stimato non solo nella stretta cerchia di critici e galleristi, ma inizia anche ad avere importanti collezionisti tra cui Carlo Ponti e Sofia Loren che acquistano negli anni sessanta ben centodieci suoi quadri. Dal 1962 al 1968 Vacchi si dedica a tre grandi cicli (testimonianza del fatto che Roma ed il suo fascino hanno stimolato la sua produttività): Il Concilio, La morte di Federico II di Hohenstaufen, e Galileo Galilei semper. Sono tutte tematiche che convergono su una riflessione del potere: quello ecclesiastico, storico e scientifico. Va precisato che a questo punto l'artista opera un distacco dall'lnformale, avviene in lui un superamento e uno sviluppo del discorso sul sociale che seppur «figurativo» (come la maggior parte dei titoli delle sue opere informali), non poteva rimanere troppo a lungo informe. Nelle tele del Concilio, che prende vita nel 1962, i soggetti diventano troni, tiare e manti papali, tutti rivisitati con una chiara morfologia fallica, dove il potere ecclesiastico viene «mostrato» nella sua atmosfera più corrotta. I colori risentono ancora dei toni cupi dell'Informale, ma quello che emerge da questo nuovo ciclo sono gli ori, simbolo di un fasto corrotto ed i rossi sanguigni che invadono quasi totalmente la tela: tutte rivisitazioni dalle tonalità del barocco romano ai colori e alle atmosfere visionarie (quasi di presagi apocalittici) delle tele di Scipione. Nel marzo del 1963, con la presentazione di Maurizio Calvesi, espone alla Galleria Odyssia di Roma e, nell' estate del 1963, nel Castello de L'Aquila, ha luogo la sua prima antologica a cura di Crispolti. Nel 1964 ottiene una sala personale alla Biennale di Venezia dove espone le opere del Concilio: a seguito di ciò il Patriarca di Venezia Urbani proibisce agli ecclesiastici la visione di tali lavori. Nello stesso anno espone alla Galleria La Nuova Pesa di Roma: il catalogo intitolato Sergio Vacchi contiene le presentazioni critiche di Renato Barilli, Enrico Crispolti, Giuseppe Raimondi e Antonello Trombadori. Nel maggio 1965 sposa Letizia Balboni, appena separata dal regista Michelangelo Antonioni. Nel frattempo Vacchi viaggia in Germania e visita i musei dove trova quegli artisti della tradizione nordica a cui si sente più legato: Grosz, Griinewald, Kollwitz, Radzwill e molti altri. In particolare conosce l'opera di Otto Dix, del suo stile vigoroso ed oggettivo, del suo perverso erotismo; rimarrà sempre molto legato a questo artista rofondamente psicologico. Nel 1966 Vacchi espone una serie di Ritratti alla Galleria La Medusa di Roma con prefazione di Paolo Volponi nel catalogo I ritratti di Sergio Vacchi: sono personaggi che appartengono al mondo culturale con il quale l'artista entra in contatto dopo il suo arrivo nell'Urbe. Sempre nel 1966 intraprende un nuovo ciclo dedicato ad un grande imperatore, Federico II; si tratta di una serie di circa 25 disegni su carta che si possono interpretare quali studi preparatori per un grande dipinto intitolato Morte di Federico II di Hohenstaufen. Notturno Italiano (cm 400x230), di proprietà di Carlo Ponti e Sofia Loren. Questo ciclo è presentato per la prima volta nel 1966 alla Galleria Sanluca di Bologna e, nello stesso anno, alla Galleria San Carlo di Napoli con presentazione del catalogo a cura di Ciro Ruju Per il Notturno Italiano di Sergio Vacchi. Morte di Federico II di Hohenstaufen. I rossi e gli ori papali del Concilio vengono ora sostituiti dagli argenti e dai colori metallici che definiscono ogni particolare rendendo sempre più analitica ed indagatrice la ricerca del pittore. In questo ciclo compaiono anche degli oggetti della realtà quotidiana quali sedie, cravatte e telefoni che Vacchi ama inserire in contesti totalmente estranei, quasi a volerli presentare come entità ambigue sospese in una realtà a cui non appartengono. Il telefono, però, sarà quello che maggiormente verrà rappresentato anche nei quadri successivi, un oggetto a volte lasciato in disparte, altre, come nella serie Leonardo Codice Verso. Il ritorno e l'andata (1993-1997), portato quale simbolo principale di distruzione della libertà personale. Nel 1966 inizia Galileo Galilei semper, l'ultimo ciclo di opere (circa ottanta) sul tema del potere. Qui lo scienziato non rappresenta tanto il potere della scienza, quanto il rapporto fallimentare di questo con l'autorità papale e con l'Inquisizione di allora. I vari busti di Galileo, circondati dai consueti repertori iconografici e dagli insoliti oggetti quotidiani del XX secolo che Vacchi ama inserire, vengono deformati da un' esagerazione delle proporzioni della testa rispetto al resto del corpo, un voler forse evidenziare tramite l'ingrandimento, la massa cerebrale e la grande intelligenza dello scienziato. Anche qui prevalgono i colori metallici, gli argenti, le atmosfere che ricordano paesaggi lunari, una sorta di atemporalità che ci permette di rivivere i ricatti sociali e i limiti che ci legano, oggi come ieri, ad una società conformista e reazionaria. Vacchi espone nel 1967-68 nella Sala Comunale delle esposizioni di Reggio Emilia, poi alla Galleria La Nuova Pesa di Roma il ciclo del Galileo Galilei semper. Sempre nel 1968 inizia un nuovo foltissimo ciclo di opere intitolato il Pianeta: sono quadri raffiguranti donne al mare, in realtà un tipo ben specifico di donna, longilineo e con lunghi capelli lisci che coprono la schiena, in atteggiamenti sensuali con un uomo, sempre lo stesso, che rappresenta 1'artista in persona. Questi due personaggi, solitamente raffigurati nudi, quasi come simbolo di novelli Adamo ed Eva, sono circondati da cani, cavalli o pavoni, in uno scenario ambientale non individuabile ma principalmente deserto e sinistro con nubi che regolarmente si stagliano in un cielo plumbeo; solo in lontananza a volte si nota la presenza di un edificio, reperto storico del passato, a testimonianza di una civiltà che ancora può essere recuperata. Crispolti ha definito poi questo ciclo una sorta di vacanza, di pausa di riflessione, mentre in quel momento storico, all'inizio appunto degli anni settanta, si tendeva a difendere e propendere anche nell'arte per un clima fortemente politicizzato. In realtà questa visione di evasione poetica e romantica sarà poi rivista in chiave sociologica: questi luoghi di sterilità e desolazione, altro non erano che il prodotto storico della crisi che l'umanità stava attraversando. 1969-1989 Gli anni settanta e ottanta sono intensi di lavoro e manifestazioni: si susseguono numerose le esposizioni nelle gallerie italiane ed aumentano i saggi critici di storici ed amici. Nel 1970 Lorenza Trucchi cura il catalogo Sergio Vacchi della mostra alla Galleria Sanluca di Bologna, mentre Giuliano Briganti ed Enzo Siciliano alla Galleria Il Gabbiano di Roma, presentano il catalogo Sergio Vacchi. Il 1973 è un anno molto prolifico: a Roma la Galleria Il Gabbiano espone la tela Finisterre, l'ultimo quadro del ciclo del Pianeta eseguito nel 1972; a Firenze, presso la Galleria L'Indiano, Piero Santi presenta nel catalogo Firenze: Sergio Vacchi una serie di paesaggi dell'artista dedicati a questa città; mentre ad Arezzo Giorgio Di Genova cura una mostra antologica intitolata Cinque luoghi della pittura di Vacchi, con catalogo omonimo, presso la Galleria Comunale d'Arte Contemporanea. Il suo immaginario pittorico continua ad evolversi in un altro ciclo, quello delle Piscine lustrali che ha inizio nel 1974. Sono tele dense di contenuti sensuali ed erotici in cui compaiono le presenze costanti di tre colonne-fallo, avviluppate in un' atmosfera più cupa e desolata di quella del Pianeta.Rari e solitari personaggi abitano questi spazi nebulosi e fumosi, in cui le esalazioni delle piscine ormai inquinate ed infette ci riportano alla memoria gli inferi danteschi. Sempre nel 1974 Vacchi è presente alla mostra Itinerario mitologico con catalogo a cura di Giuliano Briganti presso la Galleria dell'Oca di Roma insieme a Bocklin, De Chirico e Savinio. Durante questa esposizione avvenne uno strano episodio, uno dei numerosi che Vacchi raccontò anche il25 gennaio del 2000 durante una lezione alla Certosa di Pontignano: «Nel corso della mostra, non il giorno dell'inaugurazione, ma qualche tempo dopo, passo per via Condotti davanti alla Galleria Cà d'Oro e vedo attraverso la porta Giorgio De Chirico seduto su una poltrona. Il direttore della Galleria, Antonio Porcella, mi chiama dentro. La prima sensazione che provai fu quella di essere in cerca di guai. De Chirico aveva quasi novant'anni e gli stavano presentando un ragazzo sconosciuto che compariva in una mostra insieme a lui. Tuttavia il piacere e la curiosità di conoscere De Chirico era troppo forte e sono entrato. Il direttore dice: “Maestro, le presento il pittore Vacchi presente alla mostra Itinerario mitologico”. Lui mi guarda e dice: "lei chi è?". lo: "sono Sergio Vacchi, Maestro". Ancora lui: "che mestiere fa?". Allora sono stato incerto se gridare tutta la mia indignazione oppure se essere rispettoso anche questa volta. Di nuovo sono stato gentile e ho risposto: "il pittore, Maestro"; allora lui nella dedica sul catalogo mi ha scritto "A Sergio Vacchi con tanti auguri" e io sono andato via. Alcuni anni dopo vado alla Galleria Cà d'Oro dove parlo con Antonio Porcella e Cristina, sua moglie, che nel 1975 allestirono la mostra Omaggio a De Chirico, a cui partecipai con Guttuso, Cagli e Gazzera, e mi raccontarono che Isa De Chirico durante l'esposizione disse: "vieni Giorgio a vedere che gran pittore è questo Vacchi". E De Chirico: "sì, hai ragione Isa". Nel 1975 realizza quattro grandi tele (cm 460x300): Della Melanconia, Perché il Pianeta, Intorno al Buonarroti, Della perdita o del ritrovamento, opere che rappresentano un'ulteriore interrogazione dell' artista nei confronti dell'esistenza umana. Sono esposte lo stesso anno presso la Sala Comunale delle Esposizioni di Reggio Emilia con il catalogo Perché il Pianeta a cura di Pierre Gaudibert e Antonio Del Guercio. La Galleria d'Arte Moderna di Bagheria ospita nel 1977 un ciclo (circa 50 tele) che Vacchi realizza, in questo stesso anno, ispirato alle visioni mostruose di Villa Palagonia. Tra il 1978 e il 1979 esegue una serie di dipinti intitolata i Capricci: si tratta di opere su supporto ligneo raffiguranti in particolar modo conchiglie o entità amorfe disperse in ambientazioni sabbiose e crepuscolari. I colori a cui Vacchi affida il proprio discorso artistico sono sempre quelli metallici dell' oro e dell' argento. Al 1980 risalgono una serie di opere raffiguranti i tetti di Roma, sono quadri incentrati sullo studio della luce e del colore in particolari ore del giorno: del tramonto con rossi che tendono al bruno, o quelle dell'alba in cui si assiste ad uno schiarimento delle tele nelle tonalità degli ocra. Nel 1980, questi ed altri dipinti vengono presentati da Dario Micacchi nel catalogo Sergio Vacchi, presso la Sala dell'Allori del chiostro della Basilica del Carmine a Firenze. Nel 1981 Vacchi allestisce alla Galleria Cà' d'Oro di Roma la mostra Vacchi. In Atlantide praeco, i saggi critici in catalogo sono di Pietro Bonfiglioli e Dario Micacchi. Si tratta di una serie di opere incentrate sul tema della maschera, oggetto di simulazione che Vacchi ama usare in chiave ermeneutica, mostrando se stesso quale novello demiurgo portatore di profezie; a volte sembra quasi che l'artista forzi la mano nel mostrare questa soggettività, questo volersi esibire dovunque per non scomparire. Dietro queste maschere, queste figure grottesche e deformi, è quasi sempre possibile intravedere il volto del Maestro a riprova del fatto che arte e vita sono per lui strettamente connesse. È infatti intorno alla metà degli anni ottanta che Vacchi inizia a vivere, seppur rimanendo nella sua città, in un isolamento dal mondo culturale esterno; questo lo porta ad avere un ripiegamento su se stesso, sui propri tormenti che chiaramente influenzano iconograficamente anche le tele di questo periodo. Nel 1983 alla Galleria Cà d'Oro ha luogo una personale di Vacchi: Delle porte iniziatiche per una settimana. I testi critici del catalogo omonimo sono di Dario Bellezza, Enrico Crispolti e Bertrand Marret. Si tratta di vere e proprie porte di legno che l'artista usava sia nella usuale funzione presso il suo appartamento romano, sia come supporto di pittura. La porta in questo caso è vista come simbolo di ambiguità: movimento doppio, metafora degli arrivi e delle partenze, del passato e del futuro. Dal 1983 al 1986 Vacchi è impegnato in un nuovo ciclo: Stanze della Nekyia. Sono personaggi rappresentati in luoghi chiusi, appunto in interni di stanze, circondati da pochi oggetti: di solito un cuscino, una sedia impagliata, una bambola di pezza. L'utilizzo dell'oro va aumentando in queste tele che acquistano preziosità grazie anche alla trattazione minuziosa degli sfondi. Nel 1985 il Museo Archeologico e d'Arte della Maremma a Grosseto ospita la personale Sergio Vacchi. Venticinque disegni con presentazioni di Roberto Tassi e Vittorio Sgarbi. Nel 1988 Vacchi riscopre Marcel Proust: lo rilegge, e inevitabilmente lo reinterpreta. Nascono una serie di dipinti su questo grandissimo letterato: il pittore lo raffigura più volte danzante, circondato da ballerini spettrali, mentre cinge come compagna di ballo una guèpière. L'artista con queste tele presenta la solitudine del genio, l'estraniamento, il senso visionario della vita. Negli anni ottanta, realizza anche una serie di ritratti, lavoro che ancora oggi continua a portare avanti insieme ad altri cicli; si tratta di immagini di amici e personaggi da lui amati ed ammirati: Samuel Beckett, Franz Kafka, Alberto Savinio, Francesco Arcangeli, Giuliano Briganti, Roberto Tassi, Otto Dix, Greta Garbo, Francis Bacon e molti altri. Nel 1989 viene presentata da Enzo Siciliano la mostra 1949-1988: venticinque dipinti presso la Galleria La Gradiva di Roma. 1990-2000 Nel 1990 a Castenaso, suo paese natale, viene organizzata una grande mostra antologica: circa cento cinquanta opere tra disegni e pitture vengono collocati tra la Sala del Consiglio Comunale e la Cascina ex Casa Bondi. Con introduzione di Francesco Gallo tiene nel 1991 presso la Galleria d'Arte Moderna di Paternò l'antologica dal titolo Caos, Informale, Eros. Opere 1948-1990. Sempre nel 1991, Nicola Micieli cura a S. Croce sull' Arno la mostra dal titolo: Subsidenze. Maledetti e Romantici; espongono Fieschi, Francese, Moreni, Perez e Vacchi. Nello stesso anno la città di Viareggio gli rende omaggio nell'ambito del LXII Premio Letterario Viareggio-Repaci dove presenta alcune opere del recente ciclo di Abramo eseguito tra il 1989 e il 1991: l'ossessione o la semplice vanità di inserire sempre la propria immagine nei più svariati contesti, è presente anche in queste tele. Il 6 febbraio 1993 sposa la compagna Marilena Graniti dopo una convivenza di otto anni. Conosciuta nel giugno del 1977 in occasione di una sua mostra presso la galleria Il Centro di Ancona, Marilena diviene da quel momento la sua musa ispiratrice, la protagonista indiscussa delle sue tele: in un connubio di conscio ed inconscio i suoi quadri si prestano a palcoscenico di longilinee figure femminili dai lunghi capelli lisci. Dopo numerosi rapporti a detta di Vacchi «insani e negativi», «il Maestro trova la sua Margherita» che riesce a sposare nel 1993 e con la quale vive tuttora. Nel 1993, l'artista inizia un nuovo ciclo pittorico intitolato Leonardo Codice Verso. Il ritorno e l'andata. Fino a pochi mesi fa inedite, queste tele, circa quaranta, narrano un surreale ritorno di Leonardo da Vinci in Italia, nella nostra epoca tecnologica. Accanto alla figura di quest'uomo dai lunghi capelli che domina il primo piano, si trovano telefoni cellulari, oggetti portati come simbolo e testimonianza del cambiamento della vita sociale, immagini principali di distruzione della libertà personale, presenze corrosive e taglienti che caratterizzano un percorso visionario della pittura di Vacchi. Nel 1994 il Palazzo della Permanente di Milano ospita la mostra: SergioVacchi. Itinerario nei suoi miti. 1948-1993. Fu Giovanni Testori a volere la realizzazione di questa manifestazione che si avvalorò dei contributi critici di Barbara Rose, François Fossier, Erich Steingraber. Nel 1996 la Galleria Spazio Italia di New York organizza una personale dal titolo Sergio Vacchi. Virtuallife, presentata dalla critica Barbara Rose. Nello stesso anno, la mostra antologica allestita al Palazzo della Permanente di Milano, viene spostata al Boca Raton Museum di Miami (Florida). Nel 1997 Vacchi compie un nuovo trasferimento: lascia Roma per andare a vivere in Toscana, nei dintorni di Siena. Qui, presso il Castello di Grotti, nasce la Fondazione Sergio Vacchi, nella quale ormai da otto anni vengono organizzate attività multidisciplinari: mostre, conferenze, spettacoli teatrali, concerti. Le sale espositive della Fondazione hanno ospitato dal 1999 ad oggi numerose manifestazioni: l'opera grafica di Francisco Goya (circa 260 incisioni provenienti dal Museo del Prado di Madrid) dal titolo Segno e Visione. Nell'anno 2000 sono state realizzate le mostre di pittori fiorentini e senesi e Il segno espressionista, una raccolta di incisioni e disegni di espressionisti tedeschi, quali Kathe Kollwitz, Otto Dix, Georg Grosz e Max Beckmann. Nell'anno 2001 le sale espositive della Fondazione ed il parco adiacente hanno raccolto una rosa di opere di pittura e scultura sugli Artisti stranieri in Toscana. Cambiano gli scenari, i paesaggi, ma non il linguaggio pittorico dell' artista: continua ad eseguire ritratti di amici per lo più scomparsi e soprattutto intensifica quelli attribuiti alla mitica Greta Garbo che diviene protagonista di un nuovo ciclo. I personaggi interpretati da questa grande attrice, la vita camaleontica, questo suo travestitismo scenografico e soprattutto il suo bisogno di concentrazione e distanza dalla vita mondana hollywoodiana, stimolano fin dall'inizio la creatività di Vacchi, che allestisce nell'estate 2001 una mostra presso la sua Fondazione dedicata alle immagini di questa donna dal titolo Giorgio Strehler-Sergio Vacchi: l'incontro di due artisti intorno al mito di Greta Garbo. Nel 2002 mostra in omaggio a Giovanni Testori con i suoi dipinti I nudi e ritratti del critico ad opera di artisti a lui vicini; titolo della manifestazione: Giovanni Testori al Castello di Grotti. A tre anni dalla morte di Augusto Perez, la Fondazione Vacchi nel periodo luglio-settembre 2003 ha reso omaggio alla fantasia tragicamente visionaria di uno dei maggiori scultori italiani del secondo Novecento. Dagli anni novanta, vari attori della realtà e della finzione affollano le tele di Vacchi: arlecchini danzanti, scimmie con telefoni cellulari, carcasse di animali e ovviamente ritratti. Questa varietà di tele possiede però un comune denominatore: gli sfondi che circondano le figure del primo piano sono gremiti di grattacieli o piramidi. I grattacieli sono alti, argentei, avvolti da un cielo nuvoloso, fumoso o in alcuni casi, come nella Comunicazione urgente di Margherita al suo Maestro, eseguito nel 2000, completamente rosso, quasi un presagio delle successive catastrofi. 2001-2007 Dal 16 settembre al 15 ottobre 2001 Vacchi espone in uno dei luoghi museali più suggestivi di Firenze, l'Andito degli Angiolini di Palazzo Pitti, con presentazione di Antonio Paolucci: Sergio Vacchi. La sua arte la sua collezione. Per la prima volta l'artista mostra, come in una moderna quadreria, sia i lavori degli ultimi cinque anni, sia i quadri di artisti da lui amati e collezionati nel tempo. Il 22 aprile del 2002 dodici disegni e un autoritratto di Vacchi vengono acquisiti dal Museo degli Uffizi. Nello stesso anno si tiene a Palazzo Ricci di Macerata, in occasione del V Premio Scipione conferito a Sergio Vacchi, la mostra Sergio Vacchi. Il percorso avulso,fra 1948 e 2002, a cura dello storico dell'arte e amico Enrico Crispolti. Sempre nel 2002 viene presentato al Circolo Artistico di Bologna, in anteprima, l'emblematico dipinto Il Quadrato Magico, una grande tela (cm 200 x 434) di sintesi e comunicazione, di arcani simboli e presagi futuri a testimonianza di un iter tra la vita e la morte, tra sacro e profano. Tutta la composizione ruota attorno al Quadrato Magico, «rotas, opera, tenet, arepo, sator" strano enigma anteriore alla disastrosa eruzione del Vesuvio nel 79 d. C. e rinvenuto nel 1936 in un graffito degli scavi di Pompei. Strane armonie e combinazioni di inspiegabili eventi hanno spesso animato negli anni le tele di Vacchi, profeta magico e moderno che per ispirazione prosegue il cammino già intrapreso da molti artisti nel passato. Il 13 dicembre 2003 si inaugura alla Galleria Comunale d'Arte, Palazzo del Ridotto di Cesena, l'antologica Greta Garbo e Sergio Vacchi nel Palazzo del Ridotto di Cesena. Nell'occasione esce per le Edizioni Fondazioni Vacchi, curata da Nicola Micieli con la preziosa assistenza del Maestro, un importante volume di documentazione iconografica della mostra e di riepilogazione della letteratura critica che ha seguito passo passo l'itinerario creativo di Sergio Vacchi, attestandone la posizione critica e propositiva di primo piano nel vivo della problematica artistica del Novecento italiano ed europeo. Il 28 maggio 2005 presso il Museo Leonardiano a Vinci e la casa natale di Leonardo ad Anchiano viene presentato al pubblico un grande ciclo realizzato tra il 1993 e il 1997: Leonardo Codice Verso. Il ritorno e l'andata. I venti grandi dipinti della serie e i disegni preparatori mostrano un surreale ritorno del genio di Vinci ai nostri giorni, un rientro in patria che Vacchi immagina avvenga in bicicletta (mezzo di locomozione che lo stesso Leonardo aveva già progettato) creando un cortocircuito tra gli elementi del suo mondo umanistico originario e il paesaggio culturale della contemporaneità. Dal 16 luglio al 2 ottobre 2005 si tiene ad Ancona presso la Mole Vanvitelliana una mostra con testi a cura di Armando Ginesi Omaggio a Vacchi in Pittori figurativi italiani della seconda metà del XX secolo. Sempre nel 2005, dedicato agli ottanta anni di Sergio Vacchi esce il volume Monologo di Grotti, a cura di Manuela Crescentini, Donzelli, Roma. Il libro propone l’incontro diretto con uno dei maggiori pittori italiani viventi: mentre da un lato emergono le linee segrete del mondo poetico-immaginativo, solitario e controcorrente del pittore, dall’altro affiora la complessità dei rapporti umani che l’artista ha saputo costruire fin da giovanissimo negli ambienti della letteratura (Moravia, Garbali, Maraini), del cinema (Ponti, Vittorio De Sica, Fellini), della filosofia (Garroni), della moda (Luisa Spagnoli), dell’arte (Moranti, De Chirico, Guttuso, Balthus). Ne nasce uno spaccato di storia socio – culturale italiana della seconda metà del Novecento di inaspettata vivacità e densità emotiva. La sterminata letteratura critica esistente sull’opera dell’artista ha annoverato, fra gli altri, scritti di Arcangeli, Crispolti, Briganti, Testori, Rose, Restany. La bibliografia, il regesto e il ricco apparato iconografico fanno del libro uno strumento completo per la conoscenza di Sergio Vacchi. Nel corso del 2006 l’artista ha partecipato a diverse mostre tra le quali: Alba Adriatica, Villa Il Gattopardo, Alba Adriatica e il Novecento da Giorgio de Chirico a Corneille, 30 settembre - 7 ottobre 2006 (catalogo: a cura di Luciano Caprile, Acquaviva Picena 2006 Cesenatico, Galleria Comunale d’Arte Leonardo da Vinci, Novecento secondo. Maestri dell’arte italiana. Opere dalla Casa Museo Remo Brindisi, 29 luglio – 27 agosto 2006 (catalogo: a cura di Claudio Ceredi, Orlando Piraccini, Laura Buffoni, Rimini 2006) Marsala, Convento del Carmine, Una natura altra. Natura, paesaggio nell’arte italiana 1950-1962, 8 luglio - 30 ottobre 2006 (catalogo: a cura di Sergio Troisi, Enzo Sellerio editore, Palermo 2006) Ravenna, Museo d’Arte della città di Ravenna, Turner Monet Pollock. Dal romanticismo all’informale. Omaggio a Francesco Arcangeli, 19 marzo - 23 luglio 2006 (catalogo: a cura di Claudio Spadoni, Mondadori Electa, Milano 2006) Venezia, Cà Pesaro, Galleria Internazionale d’Arte Moderna, Premio Do Forni 1986 - 2006, 12 novembre - 7 gennaio 2007 (catalogo: a cura di Enzo Di Martino, Venezia 2006). Il 25 aprile 2007 a Bologna, sua città natale, viene consegnato all’artista il Premio Marconi 2007 per la pittura, con catalogo a cura di Claudio Cerritelli. Dal 25 marzo al 29 luglio 2007 partecipa a Verona presso il Palazzo della Ragione, alla mostra ideata da Giorgio Cortenova Il Settimo Splendore. La modernità della malinconia.

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