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Biografia Oreste Ferrari
Oreste Ferrari
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Nato a Roma il 5 aprile 1927, Oreste Ferrari si era infatti formato alla scuola di Lionello Venturi, dal quale discendevano, oltre all'attenzione per la storia della critica, i suoi primi interventi su artisti contemporanei; accanto all'insegnamento venturiano vi era stata la lezione di Mario Salmi, che l'aveva illuminato sulla non marginalità degli studi dedicati alle arti decorative: «Ho ancora ben vivo – ha scritto Ferrari – il ricordo dello sgomento che colse, con me, altri allievi della Scuola di perfezionamento in Storia dell'arte dell'Università di Roma quando […] Mario Salmi ci assegnò le tesine annuali, tutte su argomenti relativi alle arti cosiddette decorative. […] Quella di Salmi era, comunque, una indicazione essenzialmente di metodo di ricerca e di metodo operativo, stimolante anche per la pratica della catalogazione, nell'intendimento che questa fosse quanto più possibilmente esaustiva, completa e non selettiva, non limitata alle “cose di rilevante interesse”». Da questi insegnamenti derivarono le pubblicazioni che Ferrari dedicò allo studio delle arti applicate e alle classi tipologiche di oggetti, studi che si affiancavano a quelli sulla pittura e sulla scultura dal Cinque al Settecento (dalla fondamentale monografia su Luca Giordano, condotta con Giuseppe Scavizzi e uscita nel 1966, fino al corpus delle sculture del '600 a Roma, firmato con Serenita Papaldo e pubblicato nel 1999).Da subito, però, all'impegno critico si era affiancato quello pratico nel Ministero, grazie anche all'incontro con Giulio Carlo Argan: «fu così che Argan mi fece assumere nel 1949, ben prima che io conseguissi la laurea, nella amministrazione delle Antichità e Belle Arti, con la qualifica di operaio temporaneo e destinazione alle Soprintendenze alle Gallerie di Venezia prima e di Napoli poi: affinché, proseguendo gli studi, subito cominciassi a far pratica negli organismi di tutela; affinché insomma lo studio, la ricerca, l'indagine storica subito si temprassero sul concreto, a volte oscuro e faticoso ma sempre appagante, esercizio dei compiti della cura del patrimonio». Fu sempre Argan che lo coinvolse nella commissione di studio sui problemi della catalogazione costituita dal CNR d'intesa col Ministero della P.I. (1964-67), da cui sarebbe nato nel 1969 l'Ufficio Centrale del Catalogo (diventato nel 1975, con la nascita del Ministero dei Beni Culturali, l'Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione ), che Ferrari diresse alacremente per oltre vent'anni, fino al 1990.Tutta l'opera di Oreste Ferrari è stata tesa a dimostrare, non solo teoricamente ma nei fatti, cioè attraverso l'indagine conoscitiva, che non esiste una gerarchia tra filologia analitica e catalogo sistematico, che l'una non viene prima dell'altro, che studiare e tutelare sono parte di un unico e inscindibile processo: non si salva ciò che non si conosce, non si conosce ciò che non si individua, non si individua ciò che non si sottrae alla distruzione, alla dispersione e all'oblio. L'Istituto Centrale del Catalogo non era un concorrente, né una premessa o una conseguenza, dell'Istituto Centrale del Restauro, come non lo era della ricerca scientifica condotta nelle Università. Anche il catalogo, come il restauro, è prima di tutto un atto critico, cioè un'indagine scientifica, che deve essere affidata a personale altamente qualificato: «La catalogazione – ha scritto – non è un fatto meramente strumentale, non è meramente finalizzata solo ai compiti di tutela, ma è un'attività d'indagine e di ricerca […] Attraverso la catalogazione si stabilisce quel patrimonio di conoscenze tecniche e storiche che possono essere, insieme a quel patrimonio di esperienza e di previsionalità, la sola garanzia dell'autonomia scientifica degli organi tecnici. Un'autonomia che non vuole essere astrattezza o separatezza dai problemi, ma possibilità di relativa indipendenza e opportunità di incidere sopra gli altri poteri o interessi che pure esistono». La dimestichezza con l'indagine capillare sui contesti e su quei materiali anche apparentemente minori non gli faceva comunque mai perdere di vista il problema dell'individuazione del valore dell'opera d'arte, così importante per tutta la generazione che si era formata, attraverso Venturi e lo storicismo crociano fino all'approdo fenomenologico, sul rigetto di un miope e asfittico positivismo. Catalogare non era, non è, un'operazione burocratica e meccanica, sebbene Ferrari abbia sempre insistito sulla necessità di criteri omogenei e sull'applicazione dei sistemi informatici che man mano si rendevano disponibili agli studiosi; non si può infatti catalogare senza una piena padronanza della storia e della cultura. Non a caso uno dei temi a lui più congeniali è stato quello del rapporto tra arte e letteratura: sebbene non possa stabilirsi una semplice equivalenza, come fossero frutto di un unico “spirito del tempo” che informa e condiziona ogni cosa, tuttavia la comprensione dell'opera d'arte, sia dei manufatti che dei testi letterari, non è possibile senza far interagire ogni informazione che la riguarda, dalle tecniche al contesto culturale. Alieno da vane e astratte disquisizione metodologiche, Oreste Ferrari non è stato comunque un empirico ricercatore di dati e notizie ma propriamente uno storico, che ha restituito al catalogo lo statuto di una piena dignità scientifica. Oggi che viviamo una parcellizzazione degli studi sempre più accentuata e che quegli Istituti centrali – che dovrebbero costituire la punta più avanzata, insieme della conoscenza e della tutela – stanno vivendo un periodo di continui attacchi alla loro autonomia tecnico-scientifica, la lezione di Oreste Ferrari mirante a coniugare il rigore filologico, l'acribia del catalogatore e l'intuizione del critico, non dovrebbe essere dimenticata. di Claudio Gamba

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