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Dispacci (24/7)

Pubblicato per la prima volta nel 1977, "Dispacci" è il doloroso reportage di un giornalista che tra il 1967 e il 1969 trascorse un anno e mezzo in Vietnam, come corrispondente di guerra, al seguito delle truppe americane. Attraverso le stesse parole, crude e dirette, dei soldati con cui condivise pericoli e fatiche quotidiane, Michael Herr registra e racconta in queste pagine l'allucinante sequenza di crudeltà di cui furono responsabili, e a loro modo vittime, i giovanissimi americani arruolati nell'esercito, brutalmente scaraventati da una realtà rassicurante nel groviglio di una giungla misteriosa e nel pieno della follia bellica. Considerato uno dei testi più potenti sugli orrori del conflitto e sulla violenza di un periodo storico ancora molto vicino, il libro di memorie di Herr affianca alla testimonianza e al valore storico del documentario la riflessione lucida e disperata di un osservatore d'eccezione sull'esperienza della morte e della guerra. Introduzione di Roberto Saviano.
 
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Vietnam, Vietnam, Vietnam, ci siamo stati tutti.

Dispacci è un libro difficile per diverse ragioni. È un reportage, non è un romanzo. La verità che sta dietro al libro è una ragione sufficiente per sentirsi un po' spaesati, piccoli e indifesi davanti a Herr, che ha vissuto la guerra in un modo molto particolare: da giornalista, no, da scrittore. Il suo Vitnam non è più solo un campo di battaglia, è una dimensione alternativa, un universo nel quale creare equilibri e incontrare, senza difese, tutte le più spaventose e splendide sfaccettature della natura umana. È una droga, un qualcosa di affascinante e terribile del quale diventare succubi, dal fascino perturbante e indimenticabile.

«Togliere fascino alla guerra! Ti rendi conto, porca miseria, e come diavolo si fa, eh?»

Ma qual è il fascino della guerra, del Vietnam, che non somiglia a nessun'altra guerra e le contiene tutte?
Quella che si consuma in Vietnam è una guerra assoluta: getta una luce orrida su ogni cosa, musi gialli, colline, frasi, sguardi. E' una guerra che divora, che assorbe e donna bellezza alle cose, la bellezza che ha la morte, così assoluta, perfetta e immutabile. Dona spessore alle amicizie, alle esperienze, persino alle ore di vuoto, nel caldo di Saigon.
Il Vietnam invecchia i soldati, li trasforma e li fa diventare uomini. O matti. Il che è la stessa cosa.
La guerra che Herr vuole raccontarci è una guerra intima, assoluta e universale. Sono uomini, hanno la divisa e il fucile e sono soli, anche in compagnia. Sono soli, circondati da giungla ostile e scrivono sui berretti moniti e incitamenti, si aggrappano ai ricordi ma tornano a casa diversi. Alcuni impazziscono, altri hanno occhi così spenti che sembrano quelli di un morto. Il Vietnam è la guerra di una paura che non ti accorgi di provare e ti assale anni dopo, mentre dormi, che vivi come un sonnambulo, strafatto e stranito. In cui ti abitui a viaggiare in elicottero con un morto e quasi ti commuovi nell'osservare la premura con cui i soldati ti proteggono, ti offrono un riparo e una parola di conforto. È una guerra in cui sei solo, con la tua follia e la sua incoscienza, con la tua incoerenza e la tua brutalità. E non puoi farne a meno.

Di Dispacci conserverò sempre un ricordo in particolare. Me ne stavo sotto le coperte, stordita dalla febbre e dalle medicine e non riuscivo a smettere di leggere. Provavo la stessa smania e la stessa nostalgia che provava Herr al momento di lasciare il Vietnam. E mentre cedevo alla stanchezza avevo davanti agli occhi le immagini di Dana Stone e Sean Flynn che si cibavano voraci di quella pazza guerra e da quella irrefrenabile passione per l'ignoto venivano, spariti chissà dove in Cambogia, divorati.

Vietnam, Vietnam, Vietnam, ci siamo stati tutti.

Hellionor

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