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Mario Tobino, abile romanziere e psichiatra compassionevole

Pubblicato il 19-01-2010


Cento anni addietro (il 16 gennaio del 1910) nasceva a Viareggio - ove trascorse l'infanzia e l'adolescenza - Mario Tobino, noto scrittore e poeta oltre che abile psichiatra. Fu un prolifico romanziere e le sue opere si alimentarono di un forte background autobiografico e di una sentita spinta socio-psicologica, con riferimento soprattutto alla malattia mentale (scrisse: «Che frequentavo la pazzia erano già numerosi anni, mi sembrò di conoscerla, di poterla umanamente dire»). Ragazzo vivace ed esuberante, prese la maturità da privatista a Pisa e mostrò una precoce attitudine per lo scrivere. Laureatosi in Medicina nel 1936 all'Università di Bologna, battezzò la sua attività letteraria nel 1934 con la pubblicazione del primo libro di versi. Dopo la specializzazione in Neurologia e Psichiatria, iniziò il suo lavoro presso l'ospedale psichiatrico di Ancona (vissuto con sofferto disagio); nel 1939 pubblicava intanto la nuova raccolta di poesie intitolata "Amicizia". Durante la Seconda Guerra Mondiale fu inviato sul fronte libico ove rimane sino al 1942, e nel 1952 ne pubblicò le relative forti esperienze nel romanzo autobiografico "Il deserto della Libia" (un diario di guerra dagli intensi toni lirici), da cui sono stati tratti i film "Scemo di guerra" di Dino Risi e il recente "Le rose del deserto" di Mario Monicelli (a proposito del tempo dilatato nel vuoto del deserto, in poesia aveva scritto: «Ormai tra queste tende / camminiamo malsicuri passi / tra buche, sospetto di scorpioni / e il ghibli dal suono opaco / parlammo tra queste tende / senza piacere...»). A proposito di questo grande libro, nel suo "L'Africa di Tobino", così ha osservato Giuliana Rigobello: «Il deserto coi suoi due volti si presta ad accogliere due facce della personalità dell'autore; la sensualità ardente e l'immaginazione sbrigliata da una parte, la penosità e l'eticità dall'altra, a fare da raccordo la calda adesione alla vita, l'apertura verso gli altri, il sentimento della libertà, il pungente senso critico». Seguirono le poesie raccolte in "Veleno e Amore", il romanzo "Il figlio del farmacista" e i racconti inclusi in "La gelosia del marinaio".
Pur essendo divenuto di ruolo presso l'ospedale psichiatrico di Maggiano (Lucca), Tobino partecipò in Versilia alla lotta partigiana contro i nazifascisti, la quale ispirò il suo romanzo "Il clandestino" che fu pubblicato nel 1962 e che vinse il Premio Strega (scrisse: «noi siamo dei romantici e ci battiamo con i mezzi che abbiamo»). Coinvolto completamente nelle sofferenze spirituali dei malati di mente - spesso abbandonati in solitudine all'alienazione dei manicomi-lager del tempo - , fece oggetto di affettuosa attenzione letteraria questi individui, soprattutto donne (finite deliranti per troppo amore) delle quali rivelò l'intimo "deserto" e la dignità ferita ("Le libere donne di Magliano" del 1953 e "Gli ultimi giorni di Magliano" del 1982). In modo contraddittorio assunse, però, toni polemici con gli psichiatri che - agli albori della preparazione della legge 180 - si battevano per la chiusura dei manicomi; egli in fondo amava quel mondo brulicante di verità nascoste e di repressa umanità, e in una visione romantica della vita appena venata da un realismo solidale considerava l'ospedale psichiatrico come l'unica struttura in grado di garantire un certo ordine a delle vite disgregate (aveva scritto: «E può accadere - non sempre, con discreta frequenza - che spesso il malato si ricostituisce, si stabilizza, torna ritto in piedi ed esce come un uomo dal cancello dell'ospedale... per altri era tutto inutile, non si riusciva a portarli al di là, dar loro le ali, far battere tranquillo e sicuro il corso del loro pensiero»). E il tempo, in qualche modo, sembra oggi forse avergli dato ragione!
Nel plauso del pubblico e della critica continuò a scrivere tantissimo sino alla morte avvenuta in Agrigento l'11 dicembre del 1991. Da ricordare sono: "Sulla spiaggia e di là dal molo" (1966) con il quale ritornò ai luoghi delle sue «radici», "Per le antiche scale" con il quale ritornò invece ai temi dolorosi dell'ospedale psichiatrico (vinse il Premio Campiello nel 1972) e "La bella degli specchi" che si aggiudicò il Premio Viareggio nel 1976. Nel 1992, dopo la sua morte, è stata pubblicata postuma la raccolta di alcuni testi di natura autobiografica dal titolo "Una vacanza romana".

Di Silvia Iannello


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