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Gunnar Björnstrand, uno degli alter-ego di Ingmar Bergman

Pubblicato il 13-11-2009


Cento anni addietro (il 13 novembre del 1909) nasceva a Stoccolma Gunnar Björnstrand, pseudonimo di Knut Gunnar Johnson, grande attore svedese che a buon titolo si può considerare tra i più significativi interpreti della filmografia mondiale (morì a Stoccolma il 26 maggio 1986). Il suo notevole talento d’attore è stato esaltato dalla lunga collaborazione con il grandissimo regista svedese Ingmar Bergman, con il quale tra il 1946 (“Piove sul nostro amore”) e il 1982 (“Fanny e Alexander” vincitore di Oscar) girò 22 dei suoi 180 film. Appartenente a una famiglia di attori, Björnstrand tentò diverse carriere prima di completare gli studi alla Royal Dramatic Theatre School e di ricalcare la professione del padre (anche la figlia Veronica è un’ottima attrice). Sebbene conosciuto a livello internazionale, i suoi film sono stati girati prevalentemente in Svezia.
Incisivo e versatile, Björnstrand fu spettacolare sia nelle commedie sia nei drammi e prestò il suo volto rigido e intenso ai personaggi del difficile cinema di Bergman, un cinema con forte carica letteraria che sapeva interpretare la società e i suoi mutamenti anche meglio della letteratura, un cinema che oltre a riportare i fatti li analizzava impietosamente proiettando gli incubi dell’uomo moderno e usando un vero “bisturi dell’anima”. Björnstrand diede verità psicologica ai protagonisti dei «frammenti romanzati» della contorta vita privata del regista di cui divenne un alter-ego, a individui tormentati da dubbi e tentazioni, a mariti intrappolati nella gabbia del matrimonio che inutilmente rincorrono l’amore nell’adulterio («un diversivo prima della morte... una giungla d’impulsi impenetrabile»), a esseri umani attanagliati dal vuoto e dall’ipocrisia, a complicati intellettuali afflitti da grandi o piccole miserie (capaci di enormi infamie ma anche di infiniti dolori), a tutta una serie cioè di «anime invalide, mutilate nei sentimenti». Fu il film “Spasimo” (1944) di Alf Sjoberg (con sceneggiatura di Bergman) a dargli la prima notorietà ma la fama vera e propria arrivò con le raffinate e ironiche interpretazioni nelle due commedie di Bergman “Donne in attesa” (1952) e “Una lezione d’amore” (1954): quest’ultima fu definita da François Truffaut «una strepitosa commedia alla Lubitsch». Indimenticabile la sua interpretazione di Jöns, il cinico scudiero del cavaliere Antonius Block-Max von Sydow (grande immagine di lottatore contro un nemico invincibile) ne “Il settimo sigillo” (1956); questo religioso film di Bergman è ambientato in Svezia nel 1349 durante una tremenda epidemia di peste ed è stato girato quando il regista (figlio di un pastore protestante, segnato dal severo puritanesimo del padre) conservava ancora un barlume di fede. La Morte - l’indesiderata visitatrice - mostra al Cavaliere il suo tremendo biglietto da visita: la falce che recide la vita dell’Uomo. Antonius e il suo scudiero Jöns-Björnstrand (il primo - allo stesso modo di Bergman - dubbioso di Dio a causa del Suo silenzio; il secondo ironico, indifferente e privo del conforto della Fede) sono ritornati entrambi in Svezia dopo dieci anni di Crociate, angosciati per le morti provocate e per le brutture compiute nel nome di Dio. Un Bergman depresso e preoccupato dal pericolo del conflitto nucleare, in “Lanterna magica” (Garzanti), ha confessato che filmare la Morte che giocava a scacchi con Antonius gli era servito per esorcizzare la sua «monumentale paura della morte». Ma ancor più straordinaria è l’interpretazione di Björnstrand in “Luci d’inverno” (1962): è Tomas Erikson, un povero prete di campagna che ha perso la fede, e la sua recitazione asciutta e rigorosa, il suo viso magro e tormentato, erano perfetti a rappresentare il dubbio interiore e l’angoscia esistenziale di un uomo in crisi, e assolutamente adatti allo stile algido e austero del film di Bergman. Notevole anche la sua interpretazione di David, scrittore di successo che viaggia molto e che trascura i figli in “Come in uno specchio” (ha avuto l’Oscar quale miglior film straniero nel 1961), il cui titolo è stato tratto dalla prima lettera di San Paolo ai Corinti: «Adesso noi vediamo come in uno specchio, in maniera confusa, allora vedremo faccia a faccia». Ha scritto Aldo Garzia: «Il personaggio di David racchiude due menzogne: quella di Bergman, che cercava di difendersi da tutto quello che minacciava la propria vita artistica, e quella dell’attore Gunnar Björnstrand che si era convertito al Cattolicesimo con inaudita, profonda sincerità e passione.». Gunnar - attore di riferimento di Bergman - nel suo percorso esistenziale conquistò quella fede che il regista aveva perduto, e questo fatto in qualche modo forse li allontanò riducendo la frequenza della loro collaborazione (a Sebastian, uno dei protagonisti del film “Il rito”, Bergman fa dire: «Non ho mai avuto bisogno di nessun Dio o di salvazione o di vita eterna. Io sono il mio proprio Dio, mi fornisco i miei angeli e demoni.»).
Gunnar Björnstrand diede grandi interpretazioni anche negli altri film bergmaniani “Il posto delle fragole” (1957), “Il volto” (1958), “L’occhio del diavolo” (1960), “La vergogna” (1968) e “Sinfonia d’autunno” (1978).

Di Silvia Iannello


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