Recensioni libri

Giuseppe Petronio e la sua critica ideologico-marxista

Pubblicato il 01-09-2009


Cento anni addietro, il primo settembre 1909, nasceva a Marano (Napoli) lo storico e critico letterario marxista Giuseppe Petronio. Dopo gli studi a Reggio Calabria, Napoli e Roma, fu insegnante d’italiano e latino nei licei e quindi docente di Letteratura italiana alle Università di Cagliari e Trieste, ove diede origine a una illustre “Scuola triestina”. Ha diretto dal 1967 e per decenni la rivista “Problemi” e dal 1984 è stato il presidente dell’“Istituto Gramsci” friulano.
Antifascista fervente, nel dopoguerra approdò al Marxismo e iniziò a dedicarsi a una intensa attività politico-sindacale con il Partito Socialista prima, con il partito Comunista poi. Scrisse molti libri, lui che ne aveva letti tanti e che aveva detto: «i libri vanno letti con la freschezza dell’adolescenza e insieme con l’esperienza degli anni maturi: candidi come colombe, astuti come serpenti» (del Marxismo aveva scritto: «Ha lasciato dietro di sé libri con i quali dobbiamo fare i conti»).
Con il manuale “L’attività letteraria in Italia: storia della letteratura”, scritto nel 1966 e rielaborato e riedito più volte, portò nelle aule scolastiche i metodi della critica letteraria marxista svolgendo un ruolo importante nell’affermare la laicità e la democraticità della scuola. Con i suoi saggi critici di grande forza pedagogica e divulgativa, si dedicò invece agli studi sull’Illuminismo e sulla letteratura del primo e secondo Ottocento, ma si occupò anche con divertita curiosità della letteratura di massa e di consumo (in tempi di globalizzazione) e del romanzo giallo o poliziesco (considerato lettura di evasione e divenuto con lui oggetto di studio ma anche tema utile per capire meglio la nostra società). Prestava attenzione al linguaggio e al metodo storiografico (una lettura del testo letterario che ne riunisse il significato sociologico e la realtà formale); molto critico della «Italietta delle veline» e della «sgangherata tivù dei biscardi», non si sentì mai tradito dal Marxismo, del quale diceva: «Che piaccia o no rimane un grande fatto di cultura e un metodo ancora valido per analizzare la realtà... come metodo critico, come capacità di leggere il proprio tempo, resta assolutamente attuale».
Petronio, che morì all’età di quasi 94 anni, pochi anni prima di morire - ancora energico e vitale - scrisse il suo ultimo libro “Le baracche del rione americano”, romanzo di memorie, che racconta con l’usuale senso critico le sue esperienze di vita, il suo impegno letterario e la sua intensa partecipazione politica, ripercorrendo la formazione umana e culturale di un intellettuale protagonista del Novecento. A proposito di questo percorso nella memoria, scrisse: «Io vorrei tanto... rivivere l’animo di un tempo... ricalarmi intero in quel mio lontano e vicino passato, e perdermi in esso... Occorrerebbero doti di artista e una saga, un ciclo di romanzi alla Balzac o alla Zola... E viene infine il momento che il passato è lunghissimo, il presente un attimo effimero, il futuro uno spazio breve... da riempire tutto, finché sarà dato, con il massimo di attività e di piacere». (uno spazio di cui «la morte esalta il valore»).
Per lui sono stati usati i termini di “storicismo marxista”, “umanesimo laico” (fece parte dell’Associazione per la difesa della scuola laica di Stato”), “socialismo umanitario”, e spregiativamente quelli di “veteromarxismo” e “sociologismo”, ma un fatto è certo: egli seppe raccogliere le istanze di una società che - uscendo dalla paralisi del regime totalitario e dalla guerra - aspirava a modificarsi in senso democratico. Scrisse di lui Edoardo Sanguineti: «Uno dei rappresentanti più significativi di un’attenzione sociologica, di ispirazione marxista, portata alla letteratura»; Giulio Ferroni recriminò alla sua morte: «Con Petronio è scomparso uno degli ultimi grandi storici letterari italiani del ’900».

Di Silvia Iannello


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