Recensioni libri

Jerome K. Jerome, l’archetipo dell’umorista inglese

Pubblicato il 06-05-2009


Il 2 maggio del 1859 a Walsall nasceva Jerome Klapka Jerome, uomo dal temperamento schivo e melanconico, che per ironia della sorte è divenuto l’emblema insuperabile dell’umorismo inglese. Fresco e divertente, vive al di fuori del tempo e d’ogni assetto sociale: ha fatto ridere - e continua a far ridere - innumerevoli generazioni di lettori di qualsiasi ceto ed età. Eppure, questo scrittore ha avuto una vita difficilissima: da ragazzo ha vissuto la rovina economica del padre, un pastore anglicano proprietario di una miniera, che si trasferì in un misero quartiere dell’East End londinese per fare il commerciante senza successo. La madre, una bigotta insopportabile, contribuì a rendere ancor più triste la sua adolescenza. Da questo tribolare, nacque tuttavia una positiva tolleranza per i difetti altrui, un grande spirito di adattamento, un comico senso di osservazione del quotidiano e una partecipe solidarietà umana. Oscuro impiegato ferroviario, deluso maestro di scuola, attore d’infimo ordine in una compagnia teatrale ben presto fallita, fu infine giornalista semiserio, brillante conferenziere e scrittore riuscito di libri e commedie, baciato dal consenso dei suoi lettori. Convinto pacifista, fu poi travolto dall’esperienza della guerra e per questo i suoi ultimi libri divennero meno briosi. Morì prematuramente per un ictus a Northampton nel 1927.
Ricchi di simpatia sono “Pensieri oziosi di un ozioso” (dal 1892 al 1897 fu editore del mensile illustrato L’ozioso) e “Tre uomini a zonzo” ma il suo capolavoro trascinante è “Tre uomini in barca (per non dir nulla del cane!)”, che vendette milioni di copie, che fu tradotto in numerose lingue (compreso il russo) e che in Germania fu adottato come testo nelle scuole. In questo libro delizioso, un ruolo-chiave è svolto dal cane Montmorency, piccolo ma terribile fox-terrier dall’apparenza angelica ma dal carattere turbolento, vera e propria peste del mondo canino («Montmorency, a ben guardarlo, vi dà l’impressione di essere un angelo travestito da piccolo fox-terrier mandato dal cielo in terra, per qualche motivo misterioso e oscuro, in dono al genere umano. ...è accaduto che, guardandolo, vecchie e pie signore e degni signori si siano sentiti inumidire gli occhi. Quando Montmorency venne a vivere a mie spese... stavo seduto a guardarlo mentre, a sua volta, accovacciato sul tappeto, mi scrutava intento, e pensavo: “Quel cane non vivrà a lungo. Sarà rapito e salirà in cielo su un cocchio, ecco quel che gli succederà.”. Ma, dopo aver pagato una dozzina di galline che Montmorency aveva ucciso, dopo averlo afferrato per la collottola e sottratto ringhiante e recalcitrante a ben centoquattordici zuffe con altri cani; dopo essere stato definito “assassino” da una donna adirata presentatasi al mio cospetto con un gatto morto in braccio... dopo essere stato trascinato in tribunale da un vicino che mi accusava di aver lasciato libero un cane feroce..., ebbene cominciai a pensare che, forse, gli sarebbe stato concesso di rimanere ancora un po’ di tempo a questo mondo.»). Insieme a George, William Samuel Harris e Jerome, Montmorency fa parte integrante di un gruppo di amici che decidono di fare una crociera sul Tamigi («L’unico a non provare entusiasmo fu Montmorency. Tuttavia eravamo tre contro uno e la mozione fu approvata»); esso agisce in condizioni di assoluta parità e con uguali diritti anche se talora in netta minoranza a causa dei suoi esecrabili e non condivisibili gusti canini. Il libro inizia con Montmorency e termina con Montmorency che partecipa al brindisi finale dei tre uomini scesi dalla barca alla fine della crociera («E Montmorency, che stava alla finestra, ritto sulle zampe posteriori, lo sguardo perduto nella notte, significò con un breve latrato il suo desiderio di partecipare al nostro brindisi.»).
Forse soltanto l’autore italiano Achille Campanile, col suo “In campagna è un’altra cosa”, è stato in grado di descrivere l’universo canino con occhio altrettanto assurdo e sconcertante.

Di Silvia Iannello


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