Il grande poeta-scrittore inglese Thomas Hardy, nato nel 1840 e morto nel Dorsetshire nel gennaio del 1928, fece della landa natia il suo idilliaco mondo campestre nell’immaginario Wessex, raccontato nei suoi romanzi. Era il figlio di un umile scalpellino ma aveva studiato da architetto, spinto da un sogno di riscatto sociale che in modo segretamente autobiografico era lo stesso di quello di molti suoi personaggi. Era andato pertanto a Londra, ove era divenuto un abile architetto ma era stato poi completamente assorbito dall’interesse letterario; aveva conservato però un piacere quasi architettonico per i sapienti giochi di equilibrio e la complessa costruzione del testo. Dopo il matrimonio, ritornò a vivere nell’amata campagna del Dorset, in una solitaria residenza nei pressi di Dorcester disegnata da lui e costruita dal fratello, ma visse alquanto emarginato da quel ceto medio intellettuale al quale aspirava apparteneva, che non poteva dimenticare le sue umili origini. Di lui ricordiamo “Via dalla pazza folla” (1874) che fu il suo primo successo, nutrito dalla durezza del lavoro agricolo dei contadini e dal mito ideale della vita agreste. Alimentati da un impersonale naturalismo, i testi successivi erano agitati da un senso sconfortato della vita, segnata drammaticamente dalla fatalità della Natura e del Destino oltre che dalla furia cieca delle passioni. L’ottusa moralistica critica letteraria del tempo tacciò di pessimismo e oscenità i successivi capolavori “Il sindaco di Casterbridge” (1886), “Tess dei d’Ubervilles” (1891) e “Giuda l’oscuro” (1896); in realtà, i suoi tragici protagonisti erano uomini umili che aspiravano a una elevazione sociale ma si ritrovavano in balia dell’eterna lotta tra bene e male, in preda al conflitto tra la vita desiderata (alta e spirituale) e quella reale (squallida e tremenda) a cui costringe il fato, nel guado tra l’idealizzato mondo rurale che muore e l’alienante mondo urbanizzato che prende il sopravvento. Scoraggiato dall’insuccesso dell’ultima opera in prosa, Hardy, deluso anche per il matrimonio infelice a causa dei numerosi attriti con la moglie, si dedicò alla poesia che aveva costituito il suo primo interesse giovanile. Purtroppo, anche la sua poesia - strana e dai toni arcaici - fu poco apprezzata, ma Hardy fu amato moltissimo dagli scrittori inglesi David Herber Lawrence (che gli dedicò uno studio nel 1936) e Virginia Woolf, che come lui avevano sperimentato sulla loro pelle la crisi del vivere e dello scrivere a cavallo tra il tramonto del mondo vittoriano e l’alba del Modernismo del Novecento.
Di Silvia Iannello
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