Da mio nonno 3
Vado avanti con il mio racconto.
Tutto questo in genere avveniva la mattina. Anche il pomeriggio Maria, dopo avere sparecchiato la tavola e lavato i piatti, mi teneva compagnia. Finito di mangiare io scendevo in cortile e poco dopo mi raggiungeva. Insieme, noi due soli, giravamo dappertutto. Per la campagna, nei magazzini, nella stalla. Qui scoprimmo che c'era un soppalco, a cui si accedeva mediante una scala a pioli e su cui veniva ammassata sia la paglia che il fieno. Ci rendemmo conto che era un posto bellissimo per nascondersi e da cui potevamo controllare tutto senza essere visti nel caso ci venissero a cercare. Divenne il nostro nascondiglio segreto. Avevamo sistemato un angolo tutto per noi e spesso ci rifugiavamo qui per fare i nostri giochi. In genere era lei a condurre il gioco, era due anni più grande di me. Era lei che faceva tutto. Mi toglieva i pantaloncini e le mutandine e poi si toglieva la gonna e le mutandine anche lei. Ci alternavamo nel gioco. Un po' lei maneggiava il mio pisello, un po' io cercavo di scoprire cosa c'era in quella fessurina. Mi piaceva passare avanti e indietro il dito nella fessura del suo sesso mentre giaceva supina sulla paglia.
Ricordo le sue cosce magre magre, mentre le mie erano più cicciottelle. Allora non lo sapevo, ma poi negli anni successivi ho capito che quella magrezza eccessiva era dovuta alla fame patita durante la guerra. In contrasto con quella magrezza eccessiva spiccava la protuberanza e la carnosità del suo sesso, coperto da una leggera peluria e mi piaceva toccarlo e scoprire come era fatto. Lei mi lasciava fare liberamente e mi lasciò fare liberamente anche quando, dopo un po' di tempo, scoprii, esplorando quella fessura, che c'era un buchino dove c'entrava la punta del mio dito. Invece, quando lei accarezzava il mio pisello, me lo massaggiava e me lo stringeva ritmicamente. Le chiesi perché facesse così. “Mungo il latte come si fa con le capre” rispose.
La curiosità mi spingeva ad esplorare quel buchino e scoprii che era più profondo di quanto immaginassi. Ci entrava tutto il mio dito e mi piaceva esplorarlo, sondarlo fino in fondo, scavarci dentro. Una volta, mentre compievo questa esplorazione lei si alzò di scatto, si rivestì e scappò via! Rimasi di stucco. Mi rivestii anche io e cercai di raggiungerla. Lei gironzolava per la campagna, quando mi avvicinavo allungava il passo e si allontanava. Passammo così tutto il pomeriggio.
Restammo un paio di giorni senza parlare, poi riprendemmo la nostra vita normale. Un giorno le chiesi di tornare nel fienile. Lei disse “ad un patto: non mi devi mettere più il dito dentro” “perché?” chiesi io. “Perché si!”. Io ribattei “tu spiegami il perché ed io non lo faccio più”. “Mi hai fatto fare la pipì addosso! E ora giura!” Giurai, ma non capivo. Non capivo proprio. In un'altra occasione, mentre passavo il dito nella fessura, il desiderio di penetrare quel buchino era molto forte. Avevo giurato e mi trattenevo. Alla fine parlai e le chiesi il permesso di poterlo fare. Me lo concesse. Ad un tratto si agitò, mi tolse la mano e disse. “Hai visto! mi sono fatta nuovamente la pipì addosso” Questa volta non scappò, ma volle smettere di giocare. Poi questa manovra entrò a fare parte dei nostri giochi.
(continua)