Vivere nel "no", volere che le cose siano diverse da come in realtà sono, significa lottare e combattere.
Ci sono certe cose che vanno al dì là delle capacità dell'uomo, e per quelle posso benissimo comprendere questo discorso sull'accettazione, sul concentrarsi sulle cose che "vanno bene" nella nostra vita. D'altro canto però, se viviamo in un determinato tipo di realtà, di situazioni, è perché nessuno ha più voglia di combattere, di complicarsi la vita, di incazzarsi quanto basta (poiché quella che in apparenza sembrerebbe serenità in realtà è solo rincoglionimento globale); non c'è più il senso del collettivo. Il singolo da solo non riesce a far nulla in questo senso; più si batte per quello in cui crede, più viene deriso e gli vien detto: "Ma come? Perché lo fai? Ti è forse utile a qualcosa? Goditi la vita e lascia stare!". E questo perché nessuno ha più la concezione di cosa sia giusto o sbagliato, ma soltanto di cosa sia utile o dia un profitto personale. Lottare e combattere è difatti inutile; e nessuno prende più posizione. Ecco perché di fronte all'orrore che ci circonda siamo ormai passivi, rassegnati, agitati quel tanto che basta a indignarci sul momento, narcotizzati e indifferenti a ciò che diamo per scontato debba essere la nostra realtà di ogni giorno. Quando poi l'accumularsi di ciò che digeriamo di giorno in giorno diventa insopportabile e dentro abbiamo l'inferno, quando l'effetto pentola a pressione raggiunge la soglia limite, si pensa che finalmente ci sia il risveglio, l'insurrezione, ed invece no: non si è più capaci di vomitare.
Intanto ti dico subito che l'accettazione vale proprio per tutto ciò che è reale, così com'è e fa parte delle capacità umane,e proviamo sofferenza perché facciamo resistenza verso tutto ciò che è perché non ci piace e vorremmo diverso. Ma accettare tutto così com' é non ci creerebbe sofferenza.
La realtà in cui viviamo è frutto della"negatività e dello scoraggiamento globale a voler vedere solo e soltanto decadenza, dandola perfino per scontato, senza invece soffermarsi su ciò che scontato non è, a partire dal fatto che ci si alza la mattina e c'è il sole, o la pioggia.
Ognuno di noi è solo, è una realtà, non è il demandare alla collettività che ci rende più forti, o ci sostiene nelle idee. Ognuno di noi sa cosa è giusto o sbagliato, solo che sceglie secondo il proprio momento, la propria attitudine, il proprio "codice" e via di questo passo. Dici: "nessuno prende più posizione. Ecco perché di fronte all'orrore che ci circonda siamo ormai passivi, rassegnati, agitati quel tanto che basta a indignarci sul momento, narcotizzati e indifferenti a ciò che diamo per scontato debba essere la nostra realtà di ogni giorno". In verità tanti sono gli esempi di chi prende e mantiene una posizione, è attivo e pronto a portarla avanti affrontando passo dopo passo ciò che tale atteggiamento comporta.
Krishnananda afferma che quando cominciò il suo tirocinio di psichiatria, riconobbe che stava entrando in un mondo in cui avrebbe dovuto probabilmente confrontarsi con molte idee conservatrici intorno alle ragioni per cui la gente ha problemi emozionali. Prosegue dicendo d'essersi sentito come un ribelle arrabbiato, con un suo proprio punto di vista, di critica nei confronti di una tendenza secondo la quale bastava una pillola per liberare da ansia e paure. E durante il suo tirocinio lui si espresse più volte contro questa tendenza.
La collera spesso è la porta verso un sentimento profondo di tristezza per ciò che abbiamo dovuto soffrire, pertanto abbiamo bisogno di tutta la nostra forza per poter vivere pienamente qui e ora, e per proteggerci da ciò che non ci sembra giusto. e questa forza è la stessa che poi ci porterà a sentire gratitudine e apprezzamento per ciò che abbiamo ricevuto. E quando ritroviamo la forza, la nostra forza, abbandoniamo l'illusione di essere vittime, o cloni inconsapevoli.