Dedicato al mio migliore amico.
L’importante, certe volte, è essere equidistanti da tutto e tutti. Io la chiamo neutralità. Ai nostri occhi, questa è una terra di nessuno: per nulla mia, per nulla sua. Sicuramente di qualcuno, nostra no di certo.
L’unico capriccio è stato scegliere su quale suolo poggiare i piedi, in che periodo dell’anno. Io ho scelto la spiaggia, lui ha scelto il freddo di Gennaio.
Cammino seguendo la linea regolare del bagnasciuga, ci incontreremo presto o tardi. Ci incontriamo presto.
Il nostro saluto è un sorriso, un lungo istante nel quale ci osserviamo: i capelli scomposti dal vento, le mani nei jeans, tasselli di una realtà. Reale.
Nota che ho le scarpe in mano, i piedi nudi. A me piace camminare a piedi nudi in spiaggia, sentire i granelli di sabbia, anche a Gennaio. Ci sediamo vicini, non abbastanza da toccarci, però.
Affondo i piedi nella sabbia, nascondendoli sino alla caviglia. Prendo un pugno di granelli e lascio che scivolino sulle sue scarpe, quasi a coprirle. Lui fa lo stesso, e mi seppellisce una mano. Un gioco innocente.
Ci guardiamo, abbiamo così tante cose da dirci: i nostri occhi raccontano storie, ma è troppo presto per tramutarle in parole fluide. Non diciamo nulla. Sarà per la prossima volta.
Il tempo passa, troppo in fretta.
Ci alziamo, scuotendo via la sabbia dai jeans. Recupero le scarpe, ma non le indosso. Salutarsi non è mai un piacere, meno che mai ora. I nostri sorrisi sono molto diversi adesso: hanno il sapore della malinconia. Ci diamo la mano, come fanno i grandi uomini d’affari dopo un’incontro con i pezzi grossi. Quel contatto arriva fino all’anima, ma ancora una volta è troppo presto. Sarà per la prossima volta, di nuovo.
Ci voltiamo, ognuno per la sua strada.
Nessuna fretta, solo la certezza di esserci, quando non sarà troppo presto.