“Apocalisse”: questa parola composta deriva dal lemma di origine greca
“ apokálypsis”: disvelamento, rivelazione.
In ambito religioso la rivelazione è quella escatologica, che profetizza il destino ultimo dell’umanità, invece a molti evoca la catastrofe, voluta dalla divinità oppure naturale, perciò suscita paure e interrogativi, che si possono vedere rappresentati nell’arte anche nella predetta mostra parigina, titolata “Apocalisse, ieri e domani”.
Nella prima parte della rassegna vengono affrontati alcuni dei passi dell’Apocalisse, ricchi di simboli, metafore e allegorie che impressionano i lettori: il settimo sigillo e le sette trombe, i quattro cavalieri, la battaglia contro il dragone, la caduta di Babilonia, il giudizio universale, ecc..
Nel Medioevo quei passi vennero utilizzati per tentare, tramite immagini, di rendere comprensibile all’incolta plebe devota il misterioso messaggio giovanneo.
La più antica rappresentazione conosciuta del giudizio universale è su una tavoletta d’avorio dell’VIII secolo.
Nel percorso espositivo ci sono circa 300 opere, comincia con un codice miniato del IX secolo, l
’Apocalypse de Valenciennes, poi le belle miniature del “Beatus di Saint-Sever” dell’XI secolo; dello stesso periodo alcuni manoscritti.
E’ esposto un frammento del XIV secolo del cosiddetto “
Arazzo dell’Apocalisse” che comprende un ciclo di arazzi, commissionato fra il 1373 e il 1377 per il duca Luigi d’Angiò.

Il ciclo dell’Apocalisse
L'arazzo fu collocato nell'arcivescovado di Arles all’inizio del XV secolo e, dal 1474 in seguito alla donazione fatta da Renato d’Angiò, nella cattedrale di Saint-Maurice d'Angers.
Durante la Rivoluzione francese l'arazzo fu fatto a pezzi per realizzare coperte, stuoini, riparazioni domestiche: scomparso nel 1782, fu recuperato nel 1848 e restaurato fino al 1870, dopodiché l'opera venne restituita alla cattedrale, ma non adatta per la conservazione dell'arazzo, perciò questo venne trasferito nel vicino castello di Angers in una sala le cui dimensioni permettono di ammirare l'opera, composta inizialmente di sette pezzi per un totale di 140 m, ne sono giunti a noi solamente sei, lunghi ciascuno 23 m. Misura complessivamente 103 m di lunghezza per 6,1 m di altezza. Era composto da 90 scene, ne sono rimaste 71.
La cosiddetta “fine del mondo” è stata ispirazione per molti artisti, ed hanno creato alcune delle opere più belle della storia dell’arte: da Albrecht Dürer a Brassaï, passando per l’Espressionismo tedesco, William Blake, Vassilji Kandinskji, Anne Imhof e Kiki Smith.
Albrecht Dürer all’inizio del XVI secolo fece 15 xilografie dedicate all’Apocalisse, che contribuirono a definire e strutturare l’immaginario occidentale sul tema.
Infatti le iconografie nate dalla fantasia dell’artista tedesco sono ancora diffuse, giunte fino a noi anche tramite vari film.
Gli artisti degli ultimi tre secoli sono nella seconda parte della mostra, titolata “Il tempo delle catastrofi, che documenta la tematica apocalittica
Sono esposte le tavole dei «Disastri della guerra» di Francisco Goya, le opere di Vassillij Kandinskij, Odilon Redon, Ludwig Meidner, Natalia Gontcharova, Judit Reigl, Otto Dix, Antonin Artaud, Unica Zürn, Tacita Dean con il suo struggente “The book end of time”.
Sul tema del «Giorno dopo» è esposto «Infinito» di Luciano Fabro (1989), «Earth» di Kiki Smith (2012) e lavori di Miriam Cahn e Otobong Nkanga.
L’esposizione parigina dedicata alla “Apocalisse, ieri e domani” prova a dare la dimensione più profonda del testo di Giovanni, la rivelazione della fine del mondo come passaggio verso una nuova era, come è scritto nell’incipit del XXI capitolo: “
[COLOR="#FF0000"]E vidi un cielo nuovo e una terra nuova”[/COLOR]. Questo annuncio biblico è una sorta di viatico che accompagna il visitatore dell’esposizione verso l’uscita con l’inestinguibile bisogno di speranza.

Scuola fiamminga, “Retablo (= pala d’altare) con Giudizio Universale”, fine del XV secolo, Parigi, Musée des Arts décoratifs
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