Nell’antica filosofia cosiddetta “classica” il Sé corrispondeva all’anima.
In ambito psicologico l’immagine di sé si riferisce alla percezione che una persona ha di sé stessa e su cui poggia il suo “senso di identità”.
Tutti noi abbiamo un'immagine del tipo di persona che crediamo di essere. Ciò, in parte, riflette il modo in cui gli altri ci vedono. Ma il sé rappresenta una nostra creazione, frutto di pensiero riflessivo e capacità rappresentativa.
Il neuro-scienziato italiano Giorgio Vallortigara in un suo articolo titolato “Viaggio in una mente senza immaginazione”, pubblicato sul quotidiano Il Sole 24 Ore, del 22 settembre scorso, evidenzia che la mente umana è capace di generare un insieme di dimensioni identitarie: immagina continuamente la realtà: è come se, sullo sfondo di quel che vede e comprende, essa immaginasse diverse versioni di realtà e le comparasse continuamente con la realtà vera, facendo aggiustamenti e percependo, in fondo, solo gli scostamenti. Questa capacità di immaginazione ha conseguenze importanti sul modo in cui viviamo. Infatti l’immagine di sé ha un ruolo determinante nella vita di un individuo, perché influisce sulle sue scelte e sulle relazioni interpersonali.
Nelle nostre interazioni quotidiane con gli altri quasi mai c’è la consapevolezza di quanto la percezione di noi stessi vari nello spazio e nel tempo, risultando spesso in un compromesso tra visioni, aspettative e percezioni differenti.
Siamo diversi a seconda del ruolo e questo è spesso condizionato dall’ambiente in cui ci troviamo.
Possiamo cambiare atteggiamento, capacità e persino mentalità quando siamo in circostanze diverse. Non si tratta di fingere o di mentire: avere diverse identità secondo l’occasione è comune e “normale”.
Lo spostamento tra i sé diventa più visibile nei momenti di passaggio: dal sé in vacanza al sé al lavoro, per esempio.
Siamo sempre la stessa persona ma la prospettiva lo cambia, con conseguente cambiamento del nostro modo di comportarci e le sue conseguenze.
L’elaborazione avviene nella nostra mente, mentre le conseguenze in termini di scelte e comportamenti danno forma all’interazione con gli altri.
Nel corso della nostra vita, abbiamo dovuto abbandonare delle idee di noi: di quel che avremmo voluto o potuto essere e non siamo diventati.
Sono i nostri possibili sé passati, che restano con noi sotto forma di rimpianto, desiderio, nostalgia di quel che avrebbe potuto essere, apparendoci a volte anche più vividi dei ricordi, perché nella nostra immaginazione non hanno dovuto confrontarsi con la realtà.
I nostri possibili sé passati sono compagni di viaggio che abbiamo frequentato solo nella nostra immaginazione: che abbiamo amato nel loro potenziale e poi, col senno di poi, abbiamo scoperto di aver perso.
Come ci fanno sentire, che cosa proviamo per quella parte di noi che “non è stata”? Secondo Vallortigara fa differenza per il modo in cui vediamo noi stessi nel presente, se siamo in pace con quella parte della nostra identità, se vi dialoghiamo e se lo facciamo con una forma di tenerezza, se ci perdoniamo insomma per quel che abbiamo perso o mai raggiunto.
I possibili sé futuri. Forse non li abbiamo sempre in mente, ma sono una proiezione tipica dei momenti di transizione. Succede qualcosa nella nostra vita e la nostra mente reagisce proiettando diverse possibilità di sé, della nostra identità in evoluzione che difficilmente diventeranno reali, ma che sono comunque importanti nel dare una direzione alla nostra vita.
Nei momenti difficili non riusciamo a immaginare chi diventeremo. Pensiamo che farlo sia una perdita di tempo, che tanto sarà il destino a decidere per noi.
I possibili sé futuri sono l’espressione della nostra percezione di libertà e auto determinazione: quando il contesto le riduce, anch’essi si riducono a delle ombre che riusciamo ad intuire.
I nostri possibili sé futuri sono dei compagni di viaggio con cui dialogare, pur sapendo che quelli di loro che diventeranno reali saranno ben diversi dal nostro immaginario: se abbiamo fatto pace con i possibili sé passati che non siamo stati, anche fallire i sé futuri ci farà meno paura e saremo più liberi di immaginarli.
Sono dimensioni identitarie di noi che convivono nella nostra mente, rendendo la nostra identità più ampia: alternandosi, scontrandosi, rigenerandosi a vicenda e influenzando il modo in cui vediamo, comprendiamo e diamo forma al nostro mondo. Possiamo ignorarle, rifuggirne la complessità, provare a ridurle a elementi monodimensionali apparentemente più facili da gestire e da inserire nei contenitori “semplici” di cui il mondo ci circonda, oppure possiamo riconoscerle e farcele amiche, e così facendo scoprire l’universo di possibilità che ci appartiene già… perché fa già parte della nostra vita.