Autore Topic: Imago  (Letto 392 volte)

Doxa

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Imago
« il: Settembre 30, 2024, 19:42:59 »
Il vocabolo latino “imago” ha attraversato i secoli e nella lingua italiana lo denominiamo “immagine”.




Il sostantivo imago conduce il mio pensiero  a quando ero adolescente e la costrizione di dover imparare a memoria le poesie, come quella titolata

“Alla sera”


Forse perchè della fatal quïete
Tu sei l’imago a me sì cara, vieni,
O sera!

E quando ti corteggian liete
Le nubi estive e i zeffiri sereni,
E quando dal nevoso aere inquiete
Tenebre, e lunghe, all’universo meni,
Sempre scendi invocata, e le secrete
Vie del mio cor soavemente tieni.

Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme
Che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
Questo reo tempo, e van con lui le torme

Delle cure, onde meco egli si strugge;
E mentre io guardo la tua pace, dorme
Quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.

(Ugo Foscolo)

Questo sonetto fu pubblicato nel 1803.

Per Foscolo la silenziosa  sera è come se offrisse un fermo immagine, tutto tace.  E medita il poeta sulla morte, considerata come “fatal quiete”, il nulla eterno che libera l’individuo dai problemi quotidiani.

Tornando all’etimologia, dal sostantivo “immagine” deriva il verbo  immaginare,, il sostantivo immaginazione, l’aggettivo immaginario, l’aggettivo immaginifico.

Immaginare: significa “vedere”,  rappresentare con la fantasia cose, persone e avvenimenti in forma di immagini.

Immaginazione: è la facoltà del pensiero di interpretare la realtà.
Come attività dell’intelletto è  considerata facoltà creatrice. Si pensi allo straordinario potere dell’immaginazione nella lettura di un libro.

Immaginario: che è effetto dell’immaginazione, che non esiste se non nell’immaginazione. 

Imaginifico (= creatore d’immagini)  fu detto Gabriele D’annunzio, che nel suo romanzo titolato “Il fuoco” usa questo attributo per definire il giovane e geniale poeta  Stelio Effrena, personaggio della narrazione col quale lo scrittore abruzzese dissimula sé stesso.
« Ultima modifica: Ottobre 07, 2024, 15:04:50 da Doxa »

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Re:Imago
« Risposta #1 il: Ottobre 01, 2024, 16:05:05 »
I sostantivi "immaginazione" e "immagine" nell’antica lingua greca erano “eikasia” o “phantasia”, riferiti l'uno e l'altro alla facoltà dell'immaginare, senza che ci sia una differenza netta fra l'attività immaginativa e quella fantastica.

L'oggetto dell'immaginare o del fantasticare è detto eidolon, idolo o phantasma.

Il concetto di immaginazione e quello di fantasia rinviano entrambi alla capacità della mente di rappresentarsi immagini di  cose e fatti corrispondenti o no a una realtà. È il processo attraverso il quale trasformiamo pensieri astratti in immagini. La “fantasia” è determinante per il pensiero creativo, perché  consente di farci esplorare possibilità al di là dei confini della realtà tangibile.

Nel tempo, il significato dei due termini, coincidenti per molti versi, si è differenziato in quanto all'immaginazione è stato assegnato il ruolo di generare immagini,  riproduzioni mentali di oggetti della realtà, mentre alla fantasia quello dell'elaborazione estetica delle rappresentazioni o immagini mentali.

L'immaginazione o fantasia produce non solo immagini mentali visive, ma anche immagini tattili, acustiche, olfattive e motorie.

Nell'atto creativo queste immagini mentali possono esprimersi in dipinti, sculture, poesie, musica, danze, ecc.

L’antico filosofo greco Platone tratta il tema dell'immaginazione in “Repubblica”, “Teeteto”, “Timeo” e “Filebo”. Egli si domanda: "Immaginazione e fantasia sono realtà? Ma che tipo di realtà"? Sembra consapevole della difficoltà di rispondere con chiarezza.
 
Per Platone la phantasia si genera dal contatto con le cose reali per poi divenire attività creativa autonoma di cui solo l'uomo è capace. Essa esplica una funzione conoscitiva  ed è accomunata alla memoria.


Nel IV sec.a. C.  il filosofo Aristotele nel “De memoria et reminiscentia” e nel “de anima” definisce l'immagine mentale un ricordo collegato alla sensazione e al pensare.

Per capire le dinamiche del ricordo questo filosofo fa l’esempio dell’immagine di un animale dipinto che, essendo al tempo stesso l’animale e la sua rappresentazione, diventa “reale” o “presente” solo quando attiviamo i dati immagazzinati nella memoria, cioè attraverso il ricordo che si ha di lui.

Per lo  stagirita la reminiscenza rinvia alla capacità di stabilire connessioni, spesso correggendo, dirigendo e trasformando i dati conservati dalla memoria. L'immagine è sensazione, memoria, pensiero e soprattutto simbolo.

Nel nostro tempo il pittore surrealista René Magritte realizza il dipinto titolato “Il tradimento delle immagini”, nel quale, sotto la rappresentazione di una pipa su uno sfondo uniforme scrive la frase “Questa non è una pipa”.

 
E’ vero che non è un oggetto reale, ma solo la sua raffigurazione, che l’artista  belga ripropose più volte nei suoi dipinti.


René Magritte, Ceci n'est pas une pipe, dipinto a olio su tela, 1929,  Los Angeles County Museum of Art
« Ultima modifica: Ottobre 01, 2024, 16:09:43 da Doxa »

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Re:Imago
« Risposta #2 il: Ottobre 06, 2024, 18:21:44 »
Nell’antica filosofia cosiddetta “classica” il Sé corrispondeva all’anima.

In ambito psicologico l’immagine di sé si riferisce alla percezione che una persona ha di sé stessa e  su cui poggia il suo “senso di identità”.

Tutti noi abbiamo un'immagine del tipo di persona che crediamo di essere. Ciò, in parte, riflette il modo in cui gli altri ci vedono. Ma il sé rappresenta una nostra creazione, frutto di pensiero riflessivo e capacità rappresentativa.

Il neuro-scienziato italiano Giorgio Vallortigara in un suo articolo titolato “Viaggio in una mente senza immaginazione”, pubblicato  sul quotidiano Il Sole 24 Ore, del 22 settembre scorso, evidenzia che la mente umana è capace di  generare un insieme di dimensioni identitarie: immagina continuamente la realtà: è come se, sullo sfondo di quel che vede e comprende, essa immaginasse diverse versioni di realtà e le comparasse continuamente con la realtà vera, facendo aggiustamenti e percependo, in fondo, solo gli scostamenti. Questa capacità di immaginazione ha conseguenze importanti sul modo in cui viviamo. Infatti l’immagine di sé ha un ruolo determinante  nella vita di un individuo,  perché influisce sulle sue scelte e sulle relazioni interpersonali.

Nelle nostre interazioni quotidiane con gli altri quasi mai c’è la  consapevolezza di quanto la percezione di noi stessi vari nello spazio e nel tempo, risultando spesso in un compromesso tra visioni, aspettative e percezioni differenti.
Siamo diversi a seconda del ruolo e questo è spesso condizionato  dall’ambiente in cui ci troviamo.



Possiamo cambiare atteggiamento, capacità e persino mentalità quando siamo in circostanze diverse. Non si tratta di fingere o di mentire:  avere diverse identità secondo l’occasione è comune e “normale”.

Lo spostamento tra i sé diventa più visibile nei momenti di passaggio: dal sé in vacanza al sé al lavoro, per esempio.
Siamo sempre la stessa persona ma la prospettiva lo  cambia, con conseguente cambiamento del nostro modo di comportarci e le sue conseguenze.
L’elaborazione avviene nella nostra mente, mentre le conseguenze in termini di scelte e comportamenti danno forma all’interazione con gli altri. 

Nel corso della nostra vita, abbiamo dovuto abbandonare delle idee di noi: di quel che avremmo voluto o potuto essere e non siamo diventati.

Sono i nostri possibili sé passati, che restano con noi sotto forma di rimpianto, desiderio, nostalgia di quel che avrebbe potuto essere, apparendoci a volte anche più vividi dei ricordi, perché nella nostra immaginazione non hanno dovuto confrontarsi con la realtà.

I nostri possibili sé passati sono compagni di viaggio che abbiamo frequentato solo nella nostra immaginazione: che abbiamo amato nel loro potenziale e poi, col senno di poi, abbiamo scoperto di aver perso.

Come ci fanno sentire, che cosa proviamo per quella parte di noi che “non è stata”?  Secondo Vallortigara fa differenza per il modo in cui vediamo noi stessi nel presente, se siamo in pace con quella parte della nostra identità, se vi dialoghiamo e se lo facciamo con una forma di tenerezza, se ci perdoniamo insomma per quel che abbiamo perso o mai raggiunto.

I possibili sé futuri. Forse non li abbiamo sempre in mente, ma sono una proiezione tipica dei momenti di transizione. Succede qualcosa nella nostra vita  e la nostra mente reagisce proiettando diverse possibilità di sé, della nostra identità in evoluzione che difficilmente diventeranno reali, ma che sono comunque importanti nel dare una direzione alla nostra vita.

Nei momenti difficili non riusciamo a immaginare chi diventeremo. Pensiamo che farlo sia una perdita di tempo, che tanto sarà il destino a decidere per noi.

I possibili sé futuri sono l’espressione della nostra percezione di libertà e auto determinazione: quando il contesto le riduce, anch’essi si riducono a delle ombre che riusciamo ad intuire.

I nostri possibili sé futuri sono dei compagni di viaggio con cui dialogare, pur sapendo che quelli di loro che diventeranno reali saranno ben diversi dal nostro immaginario: se abbiamo fatto pace con i possibili sé passati che non siamo stati, anche fallire i sé futuri ci farà meno paura e saremo più liberi di immaginarli.

Sono dimensioni identitarie di noi che convivono nella nostra mente, rendendo la nostra identità più ampia: alternandosi, scontrandosi, rigenerandosi a vicenda e influenzando il modo in cui vediamo, comprendiamo e diamo forma al nostro mondo. Possiamo ignorarle, rifuggirne la complessità, provare a ridurle a elementi monodimensionali apparentemente più facili da gestire e da inserire nei contenitori “semplici” di cui il mondo ci circonda, oppure possiamo riconoscerle e farcele amiche, e così facendo scoprire l’universo di possibilità che ci appartiene già… perché fa già parte della nostra vita.

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« Risposta #3 il: Ottobre 08, 2024, 10:57:33 »
Oggi vi “offro” il  potere dell’immaginazione, in lingua greca antica: “eikasia” =  rappresentazione mentale tramite immagine.   

Il filosofo e scrittore francese Michel de Montaigne nel saggio “Della forza dell’immaginazione” scrisse:  “Fortis imaginatio generat casum” (= Una forte immaginazione genera l’evento).

L’immaginario è un prodotto dell’immaginazione, che a sua volta produce l’immagine.

L’immaginazione è indipendente dalla vista ed è fondamentale per l’attività creativa. Inoltre, ci permette di intuire, di elaborare nuove idee, rappresentare con la fantasia cose, persone, e avvenimenti in forma di immagini. Per esempio lo scrittore Ludovico Ariosto nell’Orlando furioso immagina il duca Astolfo a cavallo dell’Ippogrifo  che vola verso la Luna  per recuperare la ragione di Orlando. Là ci sono tutte le cose che si perdono sulla Terra.



I bambini immaginano partecipare ad avventure, le considerano vere.

Se immagino il mare e il golfo che ho frequentato nell’infanzia e nell’adolescenza, mi sembra di vedere  quel mare, e all’orizzonte  il sole che pare emergere durante l’alba, oppure immergere al tramonto.  Oltre a ciò, mi piace immaginare  anche il mormorio delle onde, la brezza marina. Sono illusioni tramite l’immaginazione.


Tutti immaginiamo chi vorremmo essere o cosa vorremmo avere, immaginiamo  per cercare una momentanea fuga dalla realtà  in altri mondi e scenari.


La parola “immaginazione” viene spesso usata come sinonimo di “fantasia”, dal latino  phantasia  (= “mostrare”, “apparire”), ma la  psicologia cognitiva e le neuroscienze hanno introdotto una significativa differenziazione tra i due processi mentali, denominati in inglese imagery e imagination.


Imagery è il processo di produzione di immagini mentali, generate  all'interno della mente senza una fonte esterna di stimolazione (che dà luogo invece a 'ciò che è percepito' o percetto).

L'aggettivo “mentale” viene usato per evidenziare  l'origine interna dell'immagine, consentendo di indicare prodotti che non hanno alcun riferimento a oggetti o stimoli della realtà esterna.

Imagination è invece il processo di combinazione creativa delle immagini, che spesso viene indicato in italiano con fantasia: un insieme di operazioni mentali implicate nella produzione artistica, ma anche in forme di attività mentale, come le fantasie infantili,  oppure le fantasie sessuali: sono immagini mentali sessualmente eccitanti.  Queste sono presenti anche nelle coppie che tendono alla monogamia. Capita che la loro mente vaghi alla ricerca di qualcosa di nuovo, di eccitante, anche con altri partner.

« Ultima modifica: Ottobre 08, 2024, 15:46:40 da Doxa »

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« Risposta #4 il: Ottobre 10, 2024, 09:33:21 »
L’immagine di sé, o self image, è la rappresentazione mentale che un individuo ha di sé stesso, con i propri tratti caratteriali, i sentimenti e i comportamenti. Si giudica da solo  basandosi sulle proprie esperienze. Se prevalgono quelle negative cala l’autostima.



Il modo in cui l’individuo considera sé stesso non dipende solo dalle riflessioni personali sulle proprie caratteristiche,  ma anche da come è percepito dagli altri, il “Sé sociale”: egli immagina come gli altri  lo valutano.

Il timore del giudizio altrui  nei propri confronti è frequente e normale, in particolare quando l’autostima è bassa  e subentra il disturbo di “ansia sociale”.

Temiamo di essere giudicati per l’aspetto, l’atteggiamento, la personalità, le nostre scelte. Temiamo l’umiliazione, il rifiuto, il disprezzo.

Vogliamo essere ben valutati e lodati. In caso contrario ci sentiamo frustrati. Ma In questo modo rischiamo di anteporre le critiche altrui avanti i nostri bisogni pur di farci accettare.

Ci sono individui che sono  “specializzati” nel criticare gli altri. Feriscono l’orgoglio di una persona e la inducono a mettersi sulla difensiva, a giustificarsi per ciò che ha fatto, a sentirsi inferiore, a chiudersi in sé stessa.

Il giudizio critico spesso si basa sulle apparenze, non conoscendo il vissuto di un individuo, i suoi sentimenti. A questo proposito c’è una “parabola”.

Un conoscente disse a Socrate:  “Ho saputo delle cose sul tuo amico, vuoi saperle ?”.

“Un momento“, rispose Socrate.  “Prima di raccontarmele  vorrei informarti della “regola dei tre setacci”.
 
”I tre setacci ?, rispose il pettegolo”.

Sì,  continuò Socrate. “Prima di raccontare  maldicenze verso gli altri  è necessario riflettere riguardo a ciò che si vuol dire.

Il primo setaccio è la verità. Hai verificato se quello che mi dirai è vero?”.  “No…,  ne ho solo sentito parlare.” “Perciò non sai se è la verità !. 

Continuiamo col secondo setaccio, quello della bontà. Quello che vuoi dirmi sul mio amico, è qualcosa di buono ?” “Ah no, al contrario!”. “Dunque”, continuò Socrate, “vuoi raccontarmi brutte cose su di lui e non sei nemmeno certo che siano vere”.

Il terzo setaccio, quello dell’utilità. È utile che io sappia cosa avrebbe fatto questo amico?”. “No, davvero", rispose il conoscente. “Allora“, concluse Socrate, “se ciò che volevi raccontarmi non è né vero, né buono, né utile, io preferisco non saperlo, e ti consiglio di non dimenticarlo.“

La “regola dei tre setacci”, in realtà, non è riconducibile a Socrate, l'antico filosofo greco. E’ tratta dal libro “La via del guerriero di pace”, dello scrittore statunitense  Dan Millman, che racconta il suo incontro e la sua esperienza con un  saggio maestro  da lui chiamato Socrate.

Comunque la “parabola” invita a  domandarci se ciò che si vuol dire nei confronti di un’altra persona sia la verità, se è una cattiveria e se è utile farla sapere ad altri.

Charlie Chaplin diceva:  “Ti criticheranno sempre, parleranno male di te e sarà difficile che incontri qualcuno al quale tu possa piacere così come sei! Quindi vivi, fai quello che ti dice il cuore, la vita è come un’opera di teatro, ma non ha prove iniziali: canta, balla, ridi e vivi intensamente ogni giorno della tua vita prima che l’opera finisca priva di applausi.” Questa opinione fa riflettere.
« Ultima modifica: Ottobre 10, 2024, 18:43:12 da Doxa »

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« Risposta #5 il: Ottobre 11, 2024, 08:45:22 »
Oggi per colazione vi offro "self image e reputazione". Vi garba ? Pensate che al mattino è difficile da digerire? 

Nel precedente post ho citato le frasi  “sé sociale” e “giudizio altrui”: quando quest’ultimo è negativo può essere deleterio per l’individuo con bassa autostima.

La reputazione è la considerazione che gli altri hanno di una persona: il giudizio sociale, incentrato sull’immagine sociale dell’individuo; questa è  basata sull’esteriorità e sul comportamento.  Mostrarsi è il punto cardine di raccontare sé stesso.

La lesione della reputazione può avvenire in molteplici modi: non solo attraverso pettegolezzi o maldicenze, ma anche mediante l’insinuazione.

La diffamazione offende la reputazione altrui ed è un reato che prevede la punibilità dal Codice penale. Idem per l’ingiuria.

L’ingiuria tende ad offendere l’onore o il decoro di una persona, invece la diffamazione lede la reputazione.

Nell’ambiente sociale in cui viviamo, in particolare in quello lavorativo, gli altri osservano continuamente i nostri comportamenti ed esprimono opinioni sulle nostre competenze, la personalità, l’impegno, ed esprimono il loro giudizio. Il processo di costruzione della propria reputazione necessita di tempo.

L’antico filosofo greco Socrate diceva che “il modo per ottenere una buona reputazione sta nell’agire per essere ciò che desideri apparire”.

La buona reputazione è il capitale sociale di un individuo o di un’organizzazione, ed assicura credibilità e affidabilità.

Per evitare di restare paralizzati dal giudizio degli altri riguardo la propria reputazione, è importante verificare, se è possibile, sulla base di quali parametri si forma la loro opinione. Quante vite spezzate, quanti sogni e progetti naufragati a causa della malvagia reputazione da parte di altri e ritenuta insopportabile!

Charlie Chaplin, a questo proposito, raccomandava: “Preoccupati più della tua coscienza che della reputazione. Perché la tua coscienza è quello che tu sei, la tua reputazione è ciò che gli altri pensano di te. E quello che gli altri pensano di te è problema loro”.
« Ultima modifica: Ottobre 11, 2024, 09:07:26 da Doxa »

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Re:Imago
« Risposta #6 il: Ottobre 12, 2024, 17:41:08 »

Di solito siamo convinti che ciò che noi percepiamo corrisponda esattamente alla realtà, non è così.

Le altre persone non ci vedono nello stesso modo in cui ci vediamo noi.

La teoria dell'Io riflesso, elaborata nei primi anni del ‘900 dal sociologo Charles Cooley ed esposta nel libro titolato: “Human Nature and the Social Order”, evidenzia che la nostra identità oggettiva  e soggettiva si fondono per creare l’immagine  di come ci percepiamo. Simbolicamente, tale fusione può essere rappresentata con l’immagine riflessa in uno specchio, che ci permette di guardare il nostro viso, il nostro corpo ed è l’immagine  che ognuno ha di sé stesso: ci vediamo sempre come siamo abituati a vederci, ma  la nostra immagine riflessa nello specchio non corrisponde esattamente a come gli altri ci vedono.

Spesso ci sorprendiamo quando ci vediamo in una foto: quella è l’immagine che gli altri vedono di noi, però il giudizio estetico può variare da persona a persona.

Non è possibile avere accesso diretto ai pensieri degli altri, ma possiamo fare affidamento sul feedback che riceviamo. Le reazioni delle persone, i loro sguardi, i loro commenti possono darci un’idea di come veniamo percepiti.

Di solito è basso il livello di concordanza tra il giudizio che diamo del nostro aspetto estetico e quello che ne danno gli altri. Non ci vediamo come gli altri ci vedono.

La nostra immagine corporea viene elaborata nel cervello: è un processo di integrazione fra percezioni,  cognizioni,  emozioni e sentimenti.

La rappresentazione mentale sia della forma e dimensione del nostro corpo  sia i sentimenti che proviamo per tali caratteristiche o per le singole parti può influire sull’autostima e causare problemi psicologici anche gravi, come l’anoressia e  la bulimia, innescate dall’eccessiva preoccupazione  per la propria esteriorità.



In particolare fra le donne è  diffusa la tendenza di guardarsi allo specchio e vedersi brutte, grasse e fuori forma.  Spesso  sono severe con sé stesse nel giudicarsi  e vedono difetti nel proprio corpo anche dove non ci sono.

Vari sondaggi tra le donne tra i 18 ed i 55 anni hanno rilevato che il 93 per cento di esse si considera brutta.

Non considerarsi bella/o viene definita: “Body Image Disturbing” (= disturbo dell’immagine corporea), che può causare problemi psicologici.

L’importanza che l’individuo attribuisce alla propria apparenza fisica e la discrepanza tra corpo percepito e corpo reale o ideale può creare problemi di autostima e, come sopra detto,  disturbi collegati all’alimentazione, come la bulimia e l’anoressia.

La distorsione della visione di sé, frequente nei casi di anoressia, è spesso il risultato della ricerca di magrezza, come indicata dalla moda e dai mass media per valorizzare la propria bellezza e l’aspetto esteriore.

Le persone affette da anoressia sono di solito insoddisfatte del proprio peso e aspetto fisico, in particolare sovrastimano alcune parti del loro corpo (seni, pancia, addome, glutei, gambe). La perdita di peso, nel tentativo di raggiungere l’immagine corporea ideale, le aiuta nell’autocontrollo, invece l’aumento ponderale determina in loro frustrazione e disistima.

Tra le adolescenti è diffusa l’insoddisfazione per il proprio corpo.
« Ultima modifica: Ottobre 12, 2024, 21:55:22 da Doxa »

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« Risposta #7 il: Ottobre 13, 2024, 15:10:11 »
L’immaginazione è una funzione cognitiva indispensabile in ogni ambito delle nostre attività mentali, per esempio quando attraversiamo la strada è utile capire  (immaginare)  la velocità delle automobili in arrivo.

Nell’interazione interpersonale usiamo l’immaginazione per comprendere meglio i comportamenti degli altri ma anche per usare migliori strategie nel rapportarci con loro. Questa abilità è denominata “perspective taking”.

Per quanto riguarda l’immagine corporea,  la rappresentazione che ci formiamo nella mente del nostro aspetto fisico deriva dalle informazioni provenienti dai diversi tipi di recettori sensoriali che dalla periferia del corpo raggiungono la corteccia cerebrale e vengono sintetizzati dal sistema nervoso centrale. Ma le  informazioni sensoriali non bastano. Vengono integrate da altre: i fattori socio-ambientali, le esperienze, l’autostima ecc..

La costruzione mentale della propria immagine corporea comincia fin dai primi mesi di vita. Poi, negli  anni dell’adolescenza l’immagine viene modificata dai cambiamenti fisici.

L'adolescente costruisce una sua immagine ideale osservando il proprio corpo con quello dei pari, confrontandosi con persone che egli fisicamente ammira, segue le indicazioni che il suo ambiente culturale dà sulla bellezza e la prestanza fisica.

Anche l’influenza di amici e conoscenti ha un peso importante, soprattutto nel periodo dell’adolescenza, quando essere considerati attraenti significa maggiore accettazione dagli altri.

Le crisi adolescenziali sono fisiologiche e spesso basate sull’insoddisfazione del proprio aspetto fisico, da cui scaturisce la conflittualità tra l'immagine corporea e quella ideale, connessa con i valori sociali e le influenze culturali.



E’ notevole l’influenza dei mass media sullo sviluppo  dei disturbi dell’immagine corporea. I mezzi di comunicazione di massa  mostrano ideali di bellezza che si discostano dalla media della popolazione e generano l’insoddisfazione di sé. La consideriamo inadeguata rispetto ai modelli  socialmente proposti. Ci vediamo con dei difetti e, se si può, tentiamo di eliminarli o nasconderli tramite diete, esercizi ginnici, la cosmesi od interventi di chirurgia estetica.
Nella maggior parte dei casi questa conflittualità termina quando l'adolescente accetta la sua identità, anche sessuale,  e c'è la fusione dei due tipi di immagine.

Se  il contrasto tra immagine corporea e l’immagine ideale persiste il conflitto diventa problematico.

Tutti, giovani e meno giovani, vorrebbero essere belli, fisicamente perfetti, ma la natura è indifferente ai nostri desideri.

L’immagine corporea femminile subisce modifiche anche durante la gravidanza. Per nove mesi l’organismo si adatta alla gestazione, e di solito c’è l’accettazione del cambiamento nella forma fisica.

La non accettazione della propria immagine corporea può creare conseguenze psicosomatiche e gravi problemi con l’alimentazione, come la bulimia  e l’anoressia. L’anoressica usa il corpo come campo di battaglia tra psiche e soma, considera il suo corpo o una parte di esso come un persecutore da controllare.

I disturbi dell’immagine corporea  coinvolgono la percezione, le emozioni, la parte cognitiva, il comportamento, possono assumere forme differenti.

Dal punto di vista cognitivo i disturbi dell’immagine di sé compaiono quando si hanno aspettative irrealistiche. La difficoltà ad accettare la propria immagine può generare sfiducia, vergogna, tristezza, ansia, sottovalutazione delle proprie potenzialità e progressivo isolamento sociale per evitare l’evitamento delle situazioni in cui il proprio aspetto  può essere sottoposto allo sguardo ed al giudizio altrui.


Doxa

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Re:Imago
« Risposta #8 il: Ottobre 18, 2024, 11:30:21 »
Il noto filosofo tedesco Arthur Schopenhauer (1788 – 1860) nel primo tomo di "Parerga e paralipomena" scrisse anche un breve saggio titolato: "Aforismi sulla saggezza della vita", fatto diventare un testo autonomo col titolo “L’arte di ignorare il giudizio degli altri”.

Schopenhauer dice che diamo troppa importanza alle opinioni degli altri su di noi e che i loro giudizi condizionano i nostri comportamenti. Consiglia di imparare a vivere pensando al nostro benessere e alla nostra serenità.
"Chi è consapevole di non meritarsi un’accusa può tranquillamente ignorarla”.

L’economista ed imprenditore  statunitense Warren Edward Buffett scrisse: “Ci vogliono vent’anni per costruirsi una buona reputazione e cinque minuti per rovinarla. Se pensi a questo, farai le cose in modo diverso”.

La reputazione è condizionata dal gruppo di riferimento, il quale usa valori e criteri di giudizio propri, che possono essere differenti da quelli di altri gruppi. Per esempio, in un gruppo di delinquenti un criminale può avere un’ottima reputazione, il rispetto, l’ammirazione, e continuamente giudicato degno di apprezzamento.

Da questo punto di vista la reputazione è uno strumento di controllo sociale. Esprime il valore che un gruppo attribuisce ai comportamenti desiderabili.

Nell’ambito lavorativo le persone desiderano essere considerate  competenti, attive, però è impossibile  sapere veramente cosa gli altri pensano di noi o come ci descrivono.



Tra auto-percezione e reputazione (che può essere positiva o negativa) c’è un necessario rapporto che coinvolge l’autostima e l’identità personale da un lato, e l’opinione degli altri su di noi, dall’altro.
« Ultima modifica: Ottobre 18, 2024, 12:59:05 da Doxa »

ninag

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Re:Imago
« Risposta #9 il: Novembre 03, 2024, 23:30:44 »
Un gran bel lavoro.