Poiesis: questo antico sostantivo deriva dal verbo greco ‘poieo’ che significa ideare, creare comporre.
Fu lo storico e geografo
Erodoto di Alicarnasso (vissuto tra il 484 e il 430 circa a. C.) ad usare per la prima volta la parola “poiesis”, di solito tradotta con il significato di “creazione poetica”, la “poesia”.
La poiesis / poesia rimanda al “parlare in versi”, ma l’atto poietico è legato al generare, il “fare dal nulla” secondo l’antico filosofo Platone (Symposium).
Poiesis vuol dire creare, ma ogni parto è dolente. Chi ha sperimentato l’ispirazione poetica, anche solo un verso, sa quanto gioioso possa essere l’atto creativo, specie se ispirato da Calliope, la musa della poesia epica nella mitologia greca. Figlia di Zeus e Mnemosine, è conosciuta come la Musa di Omero, l’ispiratrice dell’Iliade e dell’Odissea.
Auguste Alexandre Hirsch, Calliope suona la musica del giovane Orfeo, olio su tela, 1865, Museo d’arte e archeologia del Perigord, nel Comune di Périgueux, Francia.
Il poeta fiorentino Mario Luzi disse che la poesia è una necessità nel cammino della vita. Riordina le esperienze, dà significato al nostro essere e al nostro soffrire, a ciò che pare non averne. E’ quel supplemento di verità di cui sentiamo bisogno.
Ma non bisogna confondere i “versificatori” con i poeti che dicono cose che vanno oltre il tempo.
Sono molti gli aspiranti poeti che si “autoleggono” ma non acquistano libri di poesia.
Si dice che ormai non c’è più posto per la poesia, ed è vero, ma la poesia non vive di mercato.
Negli scaffali delle librerie i testi di poesia ci sono in vendita, ma vengono acquistati soltanto dagli studenti obbligati a leggerli. E quando smettono di andare a scuola non li acquistano più.
Il feeling tra poeti e lettori è inficiato dai tanti libri di cosiddetti poeti senza vocazione e senza “mestiere”, che fanno stampare le loro poesie a loro spese dalle tipografie o da piccoli editori. Sono opuscoli o libri fatalmente destinati alla lettura da parte di amici o al cestino dei recensori.